Ein Prosit, lo chef stellato Gennaro Esposito arriva a Buttrio: «Parola d’ordine è essenzialità»

Lo chef stellato Michelin de La Torre del Saracino racconta la sua esperienza a “Hommage à Monsieur Ducasse” e riflette su identità, lentezza e futuro della cucina italiana

Timothy Dissegna
Gennaro Esposito, chef stellato
Gennaro Esposito, chef stellato

Gennaro Esposito, volto tv ma soprattutto anima del ristorante La Torre del Saracino a Seiano, è un riferimento della cucina italiana contemporanea con le sue due Stelle Michelin. Profondamente legato alle tradizioni della sua Campania, ieri sera è stato tra i cuochi protagonisti della cena “Hommage à Monsieur Ducasse” che ha aperto Ein Prosit, alle Fucine Brasserie di Buttrio in onore del cuoco e imprenditore monegasco.

Gennaro Esposito apre Ein Prosit: «Il futuro della cucina italiana è nella lentezza e nell’identità»

Chef, è la prima volta che cucina “coralmente”?

«No, Ducasse ci ha messi insieme varie volte, non solo per cucinare. Una volta, siamo andati al ristorante sulla Tour Eiffel e abbiamo fatto una cena bellissima. È un’occasione per stare insieme, perché il nostro lavoro è sempre più serrato. Condividere l’odore della cucina e cucinare per questo grande maestro, che ha dato a tutti noi una grande opportunità, è un modo per restituire un po’ di quello che lui ci ha dato in termini di insegnamento».

Quando si sono incrociate le vostre strade?

«Lui è venuto un giorno a pranzo da me, ormai 25-26 anni fa. Da lì ho avuto l’opportunità di trascorrere dei mesi tra Montecarlo e Parigi. È un uomo davvero molto semplice, con un grande piacere di condividere e una grande stima per la cucina italiana e per il lavoro che stiamo facendo».

Con il Friuli, invece, che rapporto ha?

«Lo conosco attraverso i prodotti e attraverso amici chef che ho avuto il piacere di conoscere tanti anni fa. E soprattutto per i vini. Viaggiavo per scoprire calici, ma anche aceto e prosciutti. Mi hanno insegnato che dietro ogni progetto c’è una visione. E noi non dobbiamo omologarci, ma imparare da chi ha avuto prima di noi delle intuizioni».

Il Friuli, nel panorama culinario italiano, è una nicchia o una cenerentola?

«Penso che tutti noi, non solo il Friuli, dobbiamo ancora lavorare sulla matrice identitaria delle nostre cucine. Erediamo una cucina povera, nel senso di essenziale: pochi ingredienti, cotture disegnate per i prodotti. La cucina italiana è fatta di cottura, di tanto tempo su fuoco lento. Quando oggi parliamo di “bassa temperatura”, tecnicamente, non rendiamo onore a quello che intendo io: lasciar cuocere lentamente per molto tempo è la chiave per una cucina del futuro, salutare, identitaria, che non scimmiotta altre culture. Se ci lasciamo travolgere da altri modelli, facciamo un torto a noi stessi e alla cucina. Non ci sono in Italia cucine meno interessanti. Forse il Friuli non ha la varietà di ingredienti della Campania, ma questo poco può diventare tanto. La rivoluzione da fare oggi è non aspettare solo il fornitore, ma andare a cercare il prodotto».

C’è un conflitto oggi tra la cultura della lentezza e quella del fast food?

«Il vero conflitto sta nel risultato, nella contemporaneità. Spesso il cibo è qualcosa che subiamo, non scegliamo, complice la velocità. Sono da ridisegnare i modelli di business, soprattutto delle mense. Dobbiamo ragionare su un cibo di tutti i giorni: un minestrone con un pugno di riso non costa niente, quanto il tempo di farlo. Se uno si organizza e ne fa 50 porzioni al giorno, il discorso cambia. C’è un margine di guadagno e regali salute. Non possiamo pensare di mangiare hamburger o fritti tutti i giorni: quello avvelenerà i nostri figli e la nostra cultura. La gente oggi è pronta a recepire un messaggio di questo tipo, al giusto prezzo e con la giusta fruibilità».

I festival gastronomici e la tv sono un boomerang per il messaggio di sana alimentazione?

Dipende con quale spirito partono questi festival. Quando sei invitato, non è detto che tu debba fare per forza qualcosa di sbagliato. Bisogna avere il coraggio di prendere posizione, di fare scelte coerenti. Io stasera (ieri per chi legge, ndr), ad esempio, farò uno spaghettino utilizzando tutta la seppia perché ogni parte del prodotto ha una sua peculiarità. Non sono venuto qua a usare emulsionanti o addensanti. Tutti dobbiamo prendere posizione e decidere chi siamo. Non vedo sempre questo lato negativo, ma è vero che in molti festival il cibo viene trattato male. Non è una questione di portafoglio, ma di competenza. L’importante è essere concentrati su cosa si vuole essere».

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