«Fu l’Efa a volermi: con me solo guadagni»
«È stata l’Efa, con nomina vescovile a vita, a volermi alla presidenza delle società operative chiamate a eseguire il disegno unitario della valorizzazione del proprio patrimonio immobiliare. E io l’ho fatto, realizzando operazioni di turismo sociale e riuscendo, in oltre dieci anni di attività, a incrementare il patrimonio della fondazione di circa 60 milioni di euro». È stato Franco Pirelli Marti in persona a ripercorrere davanti al giudice per l’udienza preliminare le tappe della propria “carriera” al vertice della compagine societaria nata e cresciuta nell’orbita dell’Ente friulano di assistenza e, soprattutto, a rimarcare come non di singole società si trattasse, bensì di un gruppo legato a doppio filo alla Fondazione.
Dichiarazioni chiare e pesanti, quelle che il commercialista ha chiesto e ottenuto di rilasciare spontaneamente in aula, all’inizio del primo dei tre procedimenti a suo carico. Al suo fianco, l’avvocato Gianberto Zilli, che per tutte le imputazioni aveva concluso per il non luogo a procedere. Rinvio a giudizio, invece, la richiesta formalizzata dal pm. «Queste società non sono, come si vorrebbe far credere, legate le une alle altre - ha insistito anche il difensore -, ma fanno riferimento all’Efa. Alla Fondazione, cioè, che è emanazione della curia e che nel proprio Consiglio d’amministrazione vede sedere qualificati professionisti chiamati a dare indirizzi e obiettivi alle sue società operative». Società alla guida delle quali, con una «precisa scelta strategica», quello stesso Cda decise di mettere un proprio componente. La scelta, va da sè, cadde appunto su Pirelli Marti.
Che ora, scaricato e nei guai fino al collo, non esita a togliersi più di qualche sassolino dalle scarpe. «La delibera del 2004 parlava chiaro - ha ricordato ieri il commercialista -: valorizzare il patrimonio di Efa. Ed è ciò che io feci, trasformando gli immobili inutilizzati e in via di degrado di Piani di Luzza in una colonia con mille posti letto, e la pineta di Lignano a sua volta in stato di abbandono in una seconda colonia, con veri e propri appartamentini, tanto di piscina e palazzetto dello sport». Risultato: un incremento del patrimonio immobiliare che Pirelli Marti ha calcolato in circa 60 milioni di euro. E la spinta di un turismo sociale, «che - ha aggiunto l’avvocato Zilli -, lungi da pretese d’élite, andava a favorire le famiglie meno abbienti, quelle numerose e quelle con ragazzini portatori di handicap».
Il tutto, a fronte di una struttura inesistente. «Parliamo di società - ha osservato il legale - prive di tutto: dal personale alle fotocopiatrici. Fu il ragionier Pirelli Marti a mettere a disposizione una sua società, la Ceda, per permetterne la gestione e sempre lui a operare ben oltre il suo compito di amministratore, occupandosi di tutto, dai viaggi ai colloqui». Ma non è finita. Perchè, a parere di imputato e difensore, il tracollo in cui è rimasto travolto Pirelli Marti ha nuociuto a una platea ben più vasta. «Questa valanga di fallimenti - ha concluso l’avvocato Zilli - ha provocato danni a una marea di fornitori. A volerli sono stati Efa e Ge.Tur. Ma per fare pulizia di una persona, hanno causato un disastro economico di proporzioni enormi». (l.d.f.)
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