Friulani nella bolgia di Torino: ore di angoscia nella calca, tra persone calpestate e le urla della gente

UDINE. Una festa che si trasforma in incubo. La folla che ondeggia all’improvviso e che travolge e calpesta. È drammatico il racconto dei friulani che sabato sera avevano deciso di assistere alla finale di Champions League sul maxi-schermo allestito in piazza San Carlo a Torino, e si sono ritrovati in mezzo alla calca presa dal panico. La paura di un atto terroristico ha fatto scattare l’allarme.
Un rumore assordante che subito diventa psicosi-bomba. I friulani che c’erano raccontano di essersi ritrovati a terra in un attimo, di non aver avuto il tempo di capire cosa stava accadendo, di sentire solamente grida e persone che le calpestavano. Quando hanno potuto rialzarsi hanno vissuto il caos. Genitori che cercavano i figli, amici persi in mezzo alla folla, oggetti ovunque, dai vetri agli effetti personali lasciati da chi, nel momento della confusione, ha pensato solo di mettersi a correre, di cercare un riparo sicuro.
Il rimpallo delle responsabilità è in atto da ore. La rabbia di chi c’era è già esplosa. Perché una serata di festa lascia dietro sè un bilancio pesantissimo di persone ferite. Chi sabato sera era in piazza San Carlo non ricorderà la finale di Champions League. A chi c’era resteranno le immagini della folla che ondeggia e travolge, l’odore della paura e delle persone che ne calpestano altre per mettersi in salvo.
LA STORIA DI ALESSANDRO
«Un botto assordante, poi la parola bomba»
«Era circa il settantesimo minuto della partita quando ho sentito un rumore assordante, come un treno passato in mezzo alla piazza. Tutti in quel momento hanno pensato a un attacco terroristico».
Tra i tifosi della Juventus accalcati in piazza San Carlo c’era anche un ventiduenne udinese, Alessandro Panzolli, studente fuori sede allo Iulm di Milano. Sabato sera aveva deciso di seguire la partita con un gruppo di amici proprio a Torino. «Dopo il primo botto si è creato un vuoto al centro della piazza per via delle persone che hanno iniziato a spingere e ad allontanarsi all’improvviso. Lì non pensi a niente se non a correre. E senti di tutto, le urla e la parola bomba».
In quegli attimi concitati Alessandro si trovava ai lati della piazza con due suoi amici, mentre un altro gruppo di compagni era proprio nel cuore della folla. «Sembrava che la situazione si fosse calmata, ma subito dopo un altro scoppio fortissimo, un petardo o una bomba carta non so, e di nuovo l’ondata di gente che correva. Ci siamo riversati nelle strade, affiancati l’un l’altro e senza direzioni o indicazioni».
Nel marasma generale il gruppo di amici si è dispero e per più di mezz’ora Alessandro è rimasto da solo. «La gente cadeva per terra perché il pavimento era bagnato, c’erano tante bottiglie di vetro e per questo molti si sono tagliati. Vedevi le persone ammassate e calpestate, una scena tremenda».
Ritrovati i suoi compagni, tutti e tre illesi salvo qualche piccolo graffio, si sono poi accorti di aver perso gli zaini. «Sono tornato subito indietro e il mio l’ho ritrovato a cento metri da dove l’avevo lasciato, con tutti i miei effetti dentro. E quasi mi sono messo a piangere. Al mio amico, tornato poco più tardi, avevano rubato tutto».
Immediatamente le operazioni di soccorso hanno preso il via, sotto gli sguardi ancora sotto shock dei presenti. «Polizia e ambulanze erano già sul posto. I feriti più lievi venivano curati direttamente con garze e disinfettante». E tra i tifosi che hanno avuto la peggio anche uno degli amici del gruppo al centro della piazza, finito in ospedale con le gambe piene di lividi e sanguinanti.
«È stata tutta una questione di fortuna, di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato». Ma nel dramma ha trovato spazio anche la solidarietà umana: «Nonostante non sapessimo ancora cosa fosse successo ci si dava tutti aiuto a vicenda, rassicurandosi delle condizioni di ogni persona incrociata per strada».
Poi la notte a casa di un amico e il treno per Milano. «Sarebbe potuta andare peggio, mi sento fortunato: vedi come reagiscono le persone in una situazione del genere e non puoi che pensare che nel male è stato un male minore».
IL RACCONTO DI MARCO E JENNY, PADRE E FIGLIA
«Travolti dalla folla: siamo stati fortunati»
«All’improvviso siamo stati travolti dalla gente. Ho preso per un braccio mia figlia, ma non ce l’ho fatta a trattenerla nel mezzo del fuggi fuggi. C’era chi si aggrappava, chi spingeva. Siamo finiti a terra, alcuni ci hanno camminato sopra, ho ripreso mia figlia, ci siamo alzati e siamo andati via, lei con un ginocchio sanguinante, io con le scarpe insanguinate dalle ferite di altri».
Marco Conti, operaio di Corva di Azzano Decimo e assiduo dello Juventus Stadium, era in piazza San Carlo con la figlia 17enne Jenny, studentessa, mentre la moglie e il figlio di 7 anni erano rimasti in hotel. «Non sapevamo cosa fosse successo: chi parlava di una bomba chi di un petardo, ma lo scoppio non l’avevamo sentito». Una volta giunti in albergo la ragazza si è medicata: «Poteva andare peggio, ho davvero avuto paura per mia figlia, più che per me», ha aggiunto Marco Conti.
Travolto dalla folla in preda al panico anche il gioielliere di Prata Michele Basso, in compagnia dell’amico e compaesano Umberto Resetti, è caduto a terra e ha rischiato di essere calpestato dallo tsunami umano. «In quel momento – ricorda Michele, 42 anni – ho pensato: o mi rialzo subito o ci rimango. Era spaventosa l’onda umana in arrivo: la folla si è girata in un istante, qualcuno ha urlato “via via via”, “una bomba”, “ci sparano”. La gente ha cominciato a scappare in tutte le direzioni. Siamo stati fortunati».
Da terra Michele si è rialzato d’istinto, ha scavalcato la transenna, mettendosi in salvo. «Nel punto in cui sono caduto – racconta – non c’erano vetri. Molti si sono squarciati la pelle sul tappeto di bottiglie in frantumi, che gli ambulanti e gli spettatori hanno perso nella calca». Nel parapiglia gli spettatori hanno cercato riparo negli androni delle case, nelle pizzerie e nei bar, con il risultato di scatenare altri fuggi fuggi dai locali.
«In piazza – tira le somme il 42enne – abbiamo assistito a un’esperienza di panico collettivo, frutto della psicosi da attentato. Mentre ritornavo in albergo ho incrociato tantissime persone sotto choc. Ho tranquillizzato un ragazzo che gridava disperato di aver perso la fidanzata e un giovane che sanguinava copiosamente alla gamba. Fino a notte fonda ho sentito le sirene delle ambulanze».
In piazza c’era anche il 22enne Andrea Amadio, in compagnia di altri cinque coetanei pordenonesi: «La gente ha cominciato a venirci addosso urlando. Ho visto persone calpestate per terra, sporche di sangue. Mi sono lasciato trasportare dalla calca, nella folla ho perso tutti gli amici: per fortuna nessuno di noi si è fatto male, solo qualche graffio. Abbiamo perso scarpe, portafogli, cappelli».
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