Folco Terzani: io, in equilibrio fra due mondi

Il figlio di Tiziano in libreria con "A piedi nudi sulla terra", racconta di sé e del padre. «Si può vivere anche con poche cose.»

Scrittore inevitabile, lui figlio di cotanto padre. Se una logica genetica c’è, non vai tanto lontano dal tuo destino. Folco Terzani ci mette un pausa in mezzo prima di rispondere. «Lo confesso: può darsi, ma anche no. Non mi sono mai concentrato sul perché e sul come di questo naturale passaggio. Ho scelto un sentiero per seguirlo. Il babbo mi diceva “prima o poi qualcosa devi rendere”. Giro un documentario sugli asceti indiani; immagini potenti, la fascinazione della natura, sì, l’occhio si nutre, e lo spirito? Mi accorgo di non essere riuscito a penetrare l’intimità, il pensiero nascosto. Eh, l’esteriorità del cinema. La scrittura è speleologia, scende fin dove deve e resta».

Folco se n’era andato a zonzo per il pianeta, poi il padre morente lo chiama a sè, lassù sulle montagne della Toscana, in quella landa strepitosa così vicina a Dio. Tiziano Terzani vuole riversare sul figliolo il sapere raccolto nei decenni di inviato, studioso, filosofo. Noi friulani il Terzani lo conosciamo bene. O meglio, abbiamo imparato a conoscerlo durante gli anni di un Premio a lui dedicato; Udine lo celebra e continuerà a farlo nel buon nome della conoscenza e di un giornalismo che diventa romanzo di vita. Folco, però, al contrario di mamma Angela, in città s’è visto una volta sola.

«Non credo di essere un buon testimonial; mia madre - al contrario - è bravissima. Non mi sono mai sentito il figlio di Terzani. Quand’ero bambino guardavo il babbo come un babbo qualunque con un lavoro pieno di energie. E di viaggi. Sono cresciuto nel mondo, in quasi tutti i continenti. La fama di mio padre arriva dopo, il suo addio affrontato con un grande sorriso, che poi è un inizio, coinvolge chiunque. E in quei giorni di stretta esistenza, di condivisione e di lunghe passeggiate e di lunghe confessioni, capisco quanto la scrittura sia il vero strumento di conservazione. Raccolgo e rendo, come diceva lui». La fine è il mio inizio si fa bestseller e il cinema - attento a ogni minimo batter d’ali - se lo piglia con voracità, ma senza violenza.

- Che effetto fa vedersi sul grande schermo interpretato da Elio Germano?

«Bisogna raccontare l’escalation, per comprendere. Conosco Elio. Giuro, non sapevo chi fosse. Vivendo sempre qua e là, qualcosa ti sfugge. Be’, insomma, mi dice di non aver letto nemmeno il libro. Però il copione lo incanta. “Quante parole ci sono - dice - tantissime, troppe. A questo punto lo sfido. E ci provo”. E diventiamo amici, si va persino a castagne insieme nei boschi vicino casa. Tempo dopo mi sottopongono del girato. Incredibile. Elio è riuscito a cogliere i tratti più significativi della mia personalità. Onestamente non pensavo arrivasse a clonarmi in così poco tempo».

- E suo “padre” Bruno Ganz?

«Lo confesso. Tutti volevano Ganz per interpretare il babbo, pure a me sembrava l’attore perfetto. Lo è stato, il Terzani giornalista lo ha reso a meraviglia. Non se l’è sentita, nel finale del film, di esagerare con la risata di papà poco prima di lasciarci. Eppure andò così. Una curiosità, se posso.

- Ma certo...

«Si pensò anche a Sean Connery. Un mio amico regista americano era a un passo dalla richiesta. Comunque Ganz accettò subito e senza riserve».

- In questi giorni sta vivendo un frenetico tour italiano per presentare il suo libro A piedi nudi sulla terra . Su facebook i fans impazziscono...

«Storia vera, intanto. Un percorso pericoloso compiuto da un uomo che si è tirato fuori dal gioco vano della vita. Un tragitto, il suo, costellato di errori, di equivoci, di ostinazioni, di rinascita, attraversando un arco lunghissimo. Gli anni della controcultura hippy, il mondo senza frontiere, le nazioni chiuse e blindate di oggi. È roba tosta, io avverto. Droga, galera, ’sto tizio ne passa di tutti i colori».

- Qual è la sua filosofia esistenziale?

«In equilibrio fra due universi in antitesi, ovvero fra il desiderio di abbracciare la semplicità del cammino in povertà e la necessità di barcamenarsi nello scricchiolante sistema del “voglio sempre di più”. Giusto per indirizzare il lettore in questa apparente confusione, svelo di aver provato a vivere una settimana in India scalzo e senza soldi. Non è stato facilissimo, eppure ce l’ho fatta. Con qualche aiuto, ma ce l’ho fatta».

- Quindi a lei se crolla la borsa, frega poco...

«Be’, sa, se un piede sta lontano da qui, l’altro è qui. Una questione di buon senso. Il mio è un giusto compromesso. Potrei scrivere anche di certi miei amici miliardari americani, invece di narrare di avventurieri borderline. E mi chiedo: forse ho sbagliato? Forse di loro avrei dovuto scrivere. Vai tu a sapere».

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