Finestre a lutto e striscioni contro l’arrivo dei profughi

UDINE. Francesco Lovaria non getta la spugna. No, il conte, proprietario – assieme ai fratelli Andrea, Anna e Isabella – della villa veneta di Pavia di Udine quei 38 profughi in arrivo da Lignano, anche se al momento lo spostamento è stato sospeso, non li vuole nella “sua” villa. Nemmeno nella porzione di dimora nelle mani di Alessandro Viscovich che ha affittato alla Croce rossa due appartamenti – uno da 265 metri quadrati e l’altro da 396 – destinati a ospitare la quarantina di richiedenti asilo.
E lunedì, in parallelo alla battaglia legale arrivata in Procura, ha lanciato una personalissima forma di protesta – a suon di drappi neri e striscioni – per denunciare alla comunità locale la situazione.
La protesta
Nessuno, probabilmente, si sarebbe aspettato che la “saga” dell’eredità dei Lovaria finisse non soltanto nel bel mezzo delle polemiche politiche legate al sistema di accoglienza dei richiedenti asilo, ma arrivasse sino all’attenzione dei media nazionali che, in questi giorni, hanno dedicato alla storica dimora di Pavia di Udine numerosi servizi. Lo scontro Lovaria-Viscovich, però, lunedì si è arricchito di un’ulteriore puntata che esula dalle querelle legali e punta a colpire la comunità locale del paese friulano.
In mattinata, infatti, le porzioni di villa veneta di proprietà dei Lovaria si sono presentate con le facciate delle finestre listate esternamente a lutto attraverso il posizionamento di una serie di drappi neri. Un modo per evidenziare da una parte la divisione “fisica” della dimora in cui i profughi non dovranno e non potranno stare e, dall’altra, il sentimento di lutto che il conte e la sua famiglia provano di fronte alla possibile destinazione d’uso dell’immobile del ’600.
Il figlio del conte Nicolò inoltre, assieme al cugino Lorenzo Bosetti, ha posizionato, ieri mattina, uno striscione, anch’esso di colore nero, sul platano secolare – divenuto monumento di interesse nazionale – al centro della corte d’onore della villa.
Uno striscione dalla scritta eloquente: «La storia e la cultura di questo luogo sono in lutto e con esse la memoria della comunità e del suo territorio». All’ingresso della dimora, come se non bastasse, da ieri è presente un altro cartello: «Mandateli a casa di Alfano» come evidente segno di contestazione per la gestione delle politiche di immigrazione del Governo. Il problema, per i Lovaria, non è soltanto legato alla salvaguardia della storicità e delle bellezze artistico-culturali contenute nella villa, ma anche al fatto che l’immobile non presenta, almeno nella porzione esterna, alcuna divisione formale.
Se, infatti, all’interno il passaggio tra la proprietà dei Lovaria e quella di Viscovich è ben separata con tanto di “sigilli” posti alle porte comuni di passaggio, all’esterno, nell’area del parco della villa, non vi è nulla. A parte due cartelli, posizionati l’uno di fronte all’altro, che intimano alle due parti in causa il reciproco divieto di attraversamento. I Lovaria, in altre parole, temono che i profughi possano “invadere” anche il giardino – sia di fronte che sul retro della dimora – di loro proprietà su cui, tra l’altro, è posta anche l’uscita di sicurezza del ristorante adiacente.
Lega all’attacco.
La notizia della sospensione dell’arrivo dei richiedenti asilo – in attesa che le autorità giudiziare completino gli accertamenti del caso – non basta al Carroccio per annullare il sit-in di protesta previsto per questa mattina alle 11.30 a villa Lovaria, alla presenza del capogruppo alla Camera e segretario regionale della Lega Nord Massimiliano Fedriga, del suo vice Alessandro Ciani e della coordinatrice della segreteria politica Vannia Gava.
«La notizia della sospensione del trasferimento è positiva – ha commentato Fedriga – perchè significa che, con le proteste delle persone, si possono ottenere dei risultati concreti, ma noi saremo comunque presenti a Pavia per denunciare le incresciose politiche migratorie adottate dal governo centrale e da quello regionale».
Il Carroccio, come evidenziato dallo stesso Matteo Salvini, ha puntato il dito anche contro il prefetto di Udine, anche se, a onor del vero, è stato Viscovich a proporsi e non vi è stata alcuna imposizione da parte di Provvidenza Delfina Raimondo.
«É vero – conferma Fedriga –, ma troviamo inaccettabile che su un bene di questo valore non si possa toccare nulla, perchè è giustamente vincolato dalla Soprintendenza, ma il prefetto si arroghi il diritto di consentire di trasformarlo in un rifugio di clandestini».
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Messaggero Veneto