Fil e Gusiele, le sarte nell’udinese dalla seconda metà del Novecento
di PAOLO MEDEOSSI
Pensando alle attitudini e ai mestieri più confacenti, si può dire che Udine ha una notevole tradizione come città di architetti, medici e avvocati, ma anche di sarte e sartine, la cui laboriosa presenza ha segnato le vicende familiari per decenni, con aspetti romantici deliziosi.
Quasi ogni famiglia aveva nel proprio ambito almeno una sarta, zia o nipote che fosse, di cui si coltivava il talento e il cui laboratorio diventava un prodigioso salotto dove intrecciare storie, aneddoti e rivelazioni. Luoghi strategici, tutto vi accadeva come su un palcoscenico pubblico dal quale dipendevano destini e persino matrimoni (ma delle altre, perché le sarte restavano spesso nubili, consacrandosi alla vocazione professionale). Un mondo in gran parte scomparso, che rivive adesso in un libro prezioso: si intitola «Fîl e gusiele. Sarte e sartine nell’Udinese, dalla seconda metà del Novecento a oggi», a cura di Marina Giovannelli, con testi di Ivana Bonelli, Rosanna Boratto, Gina Morandini, Giulia Rinaldi, Marisa Venturini, Barbara Vuano, Loretta Zorzi. Pubblicato dal comitato Dars (Donna arte ricerca sperimentazione) sarà presentato domani, alle 18, nella Casa delle donne in via Pradamano 21.
Forse si tratta di una storia minore, piccola, invisibile, però meglio di tante altre aiuta a illuminare i percorsi e le trasformazioni nella vita quotidiana e nella mentalità delle donne in quanto (come dice Giovannelli) «certamente non solo il filo, ma anche i pensieri e i sogni delle sarte (e delle loro clienti) passarono spesso attraverso la cruna dell’ago».
Il viaggio udinese ripropone così figure e personalità diverse, come Lina Dominissini, oppure Maria Sferella, “figlia d’arte”, o ancora Derna Fabbro, senza dimenticare la costellazione di sartorie d’alto livello, per le quali Udine era ben nota, con nomi leggendari: Pasquotti, Bruni, Cassutti, Mondini, D’Orlando, dove le ragazze più motivate e capaci andavano a imparare i segreti di un’arte impegnativa che diffondeva eleganza e buon gusto.
Esce da questi racconti il ritratto di una Udine sorprendente se guardata con gli occhi di oggi. Una città forse un po’ chiusa, selettiva, gelosa delle proprie atmosfere, ma nella quale emergeva un orgoglio sincero, vissuto nel modo migliore. La storia delle sarte spiega questo, come è giusto, senza malinconiche nostalgie e rendendo merito a protagoniste silenziose, appartate, fervide e appassionate nella loro visione del bello e dell’armonia che prendeva vita semplicemente confezionando un abito.
Il libro è completato da una curiosa rassegna fotografica dedicata alle vetrine degli atelier, da un glossario con i termini professionali e con gli appunti per una letteratura sartoriale, con citazione immancabile di una scrittrice super, Elena Ferrante, che nel romanzo «L’amore molesto» cita la mitica macchina per cucire Singer, simbolo della fatica della donna e in qualche modo anche del suo alter ego.
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