Fedriga si oppone alla zona arancione per tutte le Regioni

Il governatore e i territori del Nord non si schierano con Bonaccini. «Rivedere le valutazioni del Cts e zone rosse dove cresce il contagio»
Il presidente della Regione Massimiliano Fedriga in una foto d'archivio
Il presidente della Regione Massimiliano Fedriga in una foto d'archivio

Nessuna posizione comune per chiedere al Governo una stretta con l’applicazione di un’unica zona arancione nazionale. Anzi, Stefano Bonaccini, il primo a lanciare l’idea dopo l’ingresso dell’Emilia-Romagna proprio nella seconda fascia di rischio, resta quasi isolato all’interno della Conferenza delle Regioni trovando la contrarietà della maggior parte dei colleghi – a eccezione del campano Vincenzo De Luca, da sempre rigorista, e pur con alcune sfaccettature diverse del toscano Eugenio Giani –, a partire da Massimiliano Fedriga e dal numero due della Conferenza stessa, il ligure Giovanni Toti.

Che la proposta di Bonaccini non piacesse, in fondo, lo si era capito fin dalla prima mattina di ieri e non soltanto per le parole di Toti, e poi di Matteo Salvini, ma anche per le posizioni di diversi governatori del Nord, a cominciare dal trentino Maurizio Fugatti, dal piemontese Alberto Cirio e dal valdostano Erik Lavévaz che venerdì ha sfiorato la zona bianca e figuriamoci se soltanto immagina di richiudere bar e ristoranti oltre a bloccare i movimenti intracomunali.

Posizioni, queste, che viaggiano in parallelo con quella di Fedriga il quale, non per nulla, ha organizzato una sorta di summit dei governatori leghisti, e di centrodestra, prima del vertice ufficiale con Bonaccini. Al centro della riunione, in ogni caso, c’era la necessità di provare a trovare una prima sintesi tra le Regioni sui suggerimenti da consegnare al Governo in vista della scadenza dell’ultimo Dpcm di Giuseppe Conte – fissata al 5 marzo – e dell’obbligo da parte di Mario Draghi di firmare il suo primo atto anti-Covid.

In realtà prima di quella scadenza ce n’è un’altra ed è quella che porta a giovedì quando verrà meno la proroga del divieto di spostamento tra le Regioni, anche se inserite in zona gialla, varata in extremis dall’ex Governo giallorosso. In questo senso, però, non dovrebbero esserci problemi, nemmeno da parte dei presidenti, a estendere il blocco fino al 5 marzo, in modo tale da allineare il tutto alla scadenza del Dpcm. Quanto a quello che accadrà dal 6 marzo in poi, invece, la partita è aperta, così come le opzioni sul tavolo, anche se, come detto, Fedriga – assieme al resto del Nord – non vede di buon occhio una zona arancione valida per tutti.

«Discutiamo della modifica dei parametri e anche dei colori – ha detto il presidente –, ma questa opzione non mi convince. Meglio intervenire con zone rosse locali o regionali, in caso di necessità, all’interno di un impianto che può essere nazionale, ma che deve portare a un cambiamento dell’attuale sistema di valutazione. Servono scelte sulla base di criteri e studi scientifici che tengano conto della situazione attuale e non soltanto in base a quanto già attuato nelle prime fasi della pandemia».

Il ragionamento di Fedriga è articolato anche se, in fondo, è più o meno lo stesso dallo scorso ottobre quando il presidente aveva chiesto al Cts e al Governo di cambiare impostazione. Secondo il governatore vanno bene regole omogenee per tutto il territorio nazionale, ma devono essere declinate in maniera diversa. Il primo punto da cambiare, per il leghista, è quello della classificazione delle attività ritenute a rischio.

Fedriga, e in questo è sostenuto da diversi colleghi, chiede ai tecnici del ministero di stilare l’elenco delle attività considerate pericolose – senza però basarsi esclusivamente sull’elenco dei codici Ateco –, ma allo stesso tempo di permettere di fare “respirare”, pur con protocolli di sicurezza rigidi, le attività chiuse ormai da mesi. L’esempio è quello classico delle palestre con la possibilità, ad esempio, di autorizzare le lezioni one to one, oppure dei cinema e dei teatri con riaperture fissate a una capienza tra il 10% e il 20%. E se pare difficile che a Roma accettino l’idea – anche nel medio periodo – di riaprire i ristoranti pure in orario serale, di fronte all’eventuale dilagare dei contagi Fedriga punterebbe ad applicare direttamente le zone rosse, su scala locale, senza passare per categorie intermedie.

Tutti temi, questi, al centro delle discussioni tra le Regioni – e di cui si parlerà ancora prima della scadenza del 5 marzo – con i presidenti che, di comune accordo, chiedono a Roma comunicazioni sulle restrizioni anti-Covid da effettuarsi con congruo anticipo e un sistema di indennizzi per le attività costrette a non lavorare. Il tutto senza dimenticare la necessità di accelerare la campagna vaccinale con la notizia dei ritardi nelle consegne di AstraZeneca che ha fatto innervosire un po’ tutti.

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