Federica, la volontaria nelle favelas

CASARSA. È «laica consacrata» dal 23 settembre 2006 e, da quasi dieci anni, opera in Brasile, tra gli ultimi, la gente di strada, soprattutto giovani.
Lei è Federica Vio, 43 anni, originaria di San Giovanni di Casarsa, laureata in servizi sociali. «Nel 1992 ad un incontro per giovani al Vendramini di Pordenone mi colpì la fraternità che vedevo espressa tra i missionari. Mi incuriosiva che vi fossero anche delle coppie sposate: tutti si dedicavano, indistintamente, ai poveri».
La Comunità missionaria di Villaregia, cui fa parte, è una famiglia composta da missionari, missionarie, missionari nel mondo, sposi missionari. Federica Vio è laica consacrata, «mi impegno a vivere secondo i consigli evangelici di povertà, castità, obbedienza e comunione per la missione, che è il voto specifico della nostra comunità».
Dopo il liceo scientifico, a Pordenone, «mi indirizzai verso il servizio sociale: volevo aiutare gli altri in maniera competente». Un anno di lavoro “laico” sul campo, quindi l’ingresso in comunità, a Villaregia per meno di un annom, a Pordenone per la formazione teologica, quindi a Lonato, nel Bresciano.
La prima, lo sbarco a San Paolo di Brasile, il 18 febbraio 2007. «La mia destinazione era Belo Horizonte, dove operiamo in una parrocchia di 40 mila abitanti. Guardando dal finestrino dell’aereo pensai: comincio una fase nuova della vita.
Uscii dall’aeroporto con paura, timore e tante domande. Il giorno dopo ero tra la gente, lungo le strade: è stato il primo amore, esiste davvero. Ancora oggi ricordo quei momenti, quelle scene di povertà, gli incontri con coloro che avevano bisogno di tutto, la possibilità di camminare insieme dando speranza e aiuto».
Dopo venti giorni, la trasferta a Belo Horizonte, dove la comunità gestisce un centro culturale, di cui Federica Vio è stata responsabile, che promuove corsi di alfabetizzazione e inserimento all’università, e per bambini. «É stata valorizzata una zona dove non c’era nulla.
Fu un impatto molto choccante: una distesa di case alla meno peggio. Non abituai facilmente, a quella realtà. Dopo tre anni e mezzo mi comunicarono che sarei tornata a San Paolo: ebbi un flash, all’improvviso immaginai tutti coloro che avevo conosciuto allontanarsi da me... Ad ogni modo, obbedii e cominciai ad occuparmi di pastorale giovanile ed economia della casa».
I giovani brasiliani, dal punto di vista artistico, sono molto creativi. «Per coinvolgere colorom che provengono da un mondo di assoluta povertà, abbiamo ideato un musical, scritto e prodotto con loro. Raccontiamo i loro sogni, che parlano della realtà di San Paolo». Nove mesi di prove, quindi il debutto». È stato un successo, ma non il riscatto sociale.
«È la mentalità, diversa. Conosco una donna divenuta insegnante, quindi con uno stipendio: non ha mai inteso lasciare la sua vita di strada, senza una casa sicura. In genere, il degrado morale è molto forte e diffuso». Oggi Federica Vio opera nel centro giovanile che si occupa di bambini sino all’adolescenza (doposcuola, sport e arte) che «altrimenti sarebbero sulla strada» e di pastorale giovanile: «Apparteniamo alla comunità e pertanto ci vengono affidati anche servizi religiosi».
L’ultimo nato è “Juventude dattora”, progetto sociale rivolto ad adolescenti: «Propone diverse discipline sia culturali sia sportive. Il mio compito sarà di rafforzarlo, per poi passare la mano ad altri». Non mancano «le missioni di evangelizzazione in strada, vissute in maniera più aperta rispetto all’Europa. Ad esempio, camminiamo e abbracciamo la gente, lanciamo messaggi cristiani e di pace, tra canti e danze. Sono esperienze molto forti».
Non è tutto oro, quello che luccica, Brasile non vuol dire spiagge e vacanze. «Il contesto sociale – prosegue Federica Vio – è complesso e delicato. Se è vero che la religione cattolica è molto diffusa, è altrettanto vero che operano molte sette che trovano facilmente adepti, tra i poveri».
Strutture “fai da te”, addirittura con “portafogli clienti”: «Se il pastore si trasferisce, la sua chiesa con tanto di fedeli viene messa sul mercato: all’esterno dell’edificio compaiono anche cartelloni col prezzo del tutto». Chiese che hanno nomi tra i più improbabili: una, per esempio, si chiama «Palla di neve». È il problema-fenomeno sette denunciato spesso da papa Francesco.
«Niente vestiti di tendenza, poca tv, soprattutto informazione, il tempo è poco e i poveri sono tanti. Libertà, essenzialità, intelligenza: sono le tre strade che continuo a percorrere con la comunità, per servire di più e meglio gli altri».
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Messaggero Veneto