Fama fu vittima della crisi Bomben scagionato in appello

L’imprenditore e politico di Zoppola era accusato di omesso versamento dell’Iva nel 2011 Quell’anno il principale cliente dell’azienda di Orcenico non pagò una fattura da 190 mila euro

ZOPPOLA. Non versò l’Iva per 68 mila euro nel 2011 perché la sua azienda fu vittima della crisi del suo maggior cliente. L’imprenditore di Zoppola Gustavo Bomben, 66 anni, fondatore della ditta Fama, specializzata in rivestimenti di gallerie, difeso di fiducia dall’avvocato Antonio Malattia, è stato assolto in appello perché il fatto non sussiste dall’accusa di omesso versamento dell’Iva.

In primo grado il giudice monocratico Eugenio Pergola lo aveva condannato nel giugno 2015 a 4 mesi di reclusione, pena sospesa e aveva disposto la confisca per equivalente in denaro, beni immobili e mobili sino alla concorrenza di 85 mila euro, pari al profitto del presunto reato.

Bomben era stato inoltre dichiarato interdetto per sei mesi dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese, incapace a contrattare con la pubblica amministrazione per un anno, interdetto dalle funzioni di rappresentanza e assistenza tributaria per un anno e in perpetuo dall’ufficio di componenti di commissione tributaria.

La Procura contestava a Bomben di non aver versato nel 2011 68 mila euro di Iva. L’avvocato Antonio Malattia ha fatto appello, sostenendo che il mancato pagamento dell’Iva era stato determinato da causa di forza maggiore, derivante da una temporanea crisi di liquidità dell’azienda di Cusano, che si era improvvisamente aggravata poco prima della scadenza del debito. Ciò aveva impedito a Fama di provvedere al versamento dell’imposta.

Nel 2010 l’azienda aveva iniziato a lavorare non più in conto lavoro ma su fornitura. In quegli anni di crisi le banche non concedevano un credito maggiore e la società ha registrato così un calo sensibile di fatturato. In particolare l’avvocato Malattia ha dimostrato che nel 2011 un evento imprevedibile ha impedito a Fama di pagare l’Iva.

«Il principale cliente, Innotech di Roma, che da sola rappresentava un terzo del fatturato complessivo dell’epoca – approfondisce l’avvocato Malattia – aveva accumulato un’sposizione debitoria di 400 mila euro con Fama. Nel settembre 2011 è andata insoluta un’altra fattura da 190 mila euro di Innotech. Bomben e il suo staff hanno cercato di forzare il cliente al pagamento, rallentando le consegne, ma non è stato possibile. La liquidità di Friulia, entrata in società a giugno 2011 era stata immediatamente assorbita per pagare i fornitori, conditio sine qua non per mandare avanti l’attività. In sostanza Fama è stata vittima della crisi del proprio maggior cliente, che lo ha messo in condizione di non poter far fronte al debito entro la scadenza. La Corte d’appello, che avrebbe potuto assolvere il mio assistito per ché il fatto non è più previsto dalla legge come reato, visto che le soglie di punibilità sono state innalzate, lo ha assolto invece perché il fatto non sussiste, riconoscendo la sua assoluta buonafede e quindi la linearità e correttezza della sua condotta». (i.p.)

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