Faletti romanziere d’oro:«Il ghost writer? Salti fuori!»

PORDENONE.
Quando lo vedi andare su e giù sul palcoscenico, da solo, mentre aspetta che l'applauso del teatro Verdi più gremito che mai (e tanti, in fila già dalle sei del pomeriggio, sono rimasti fuori) si esaurisca, ti aspetti che da un momento all'altro tiri fuori la voce di Vito Catozzo. E fai fatica a credere che con i suoi primi tre romanzi abbia venduto undici milioni di copie! Sì, undici milioni di libri, roba da far cambiare mestiere per sempre a quell'editore, piuttosto importante, a quanto pare, che si rifiutò di pubblicare
Io uccido
, il romanzo del suo esordio, che solo in Italia ha venduto 4 milioni di copie ed è stato tradotto in numerose lingue.


Giorgio Faletti è a
Pordenonelegge
per presentare il suo ultimo libro,
Io sono Dio
, una storia che segna il suo ritorno al thriller, ambientata ai giorni nostri a New York, sullo sfondo l’attacco alle Torri Gemelle e con un piccolo antefatto durante la guerra del Vietnam. Ne parla, ovviamente, ma intanto scherza con i fotografi, con le maschere, con qualche spettatore qua è là nelle prime file, non risparmia battute. Insomma, la serata non ha un canovaccio preciso e ben presto lui chiede al pubblico di fargli delle domande.


È quel che si dice un fenomeno editoriale, Faletti e, in più, ha alle spalle un passato di comico importante. Lo conoscono tutti, proprio perché da
Drive in
in poi è entrato nelle case degli italiani. E poi il cinema, le canzoni: oltre alla celebre
Signor tenente
, che scrisse e cantò a Sanremo, è autore di Mina, Milva, Branduardi. «Parallelamente, però, ho sempre scritto racconti. E tecnicamente la costruzione del personaggio di un romanzo non è molto dissimile dalla costruzione di un pezzo comico. La differenza era passare dalla progressione da passista a quella del maratoneta che la scrittura di un romanzo implica».


«Ma quanto del Faletti comico è rimasto nel Faletti scrittore?», gli chiede un ragazzo napoletano che confessa di non aver mai letto i suoi libri. «La mia indole mi fa filtrare tutto con la lente dell'umorismo. Quando pubblicai
Io uccido
, Antonio Ricci (l'autore di
Striscia la notizia
) mi chiamò per citarmi i momenti del libro in cui si capiva che avevo fatto violenza su me stesso per non infilarci una battuta».


Inevitabilmente c'è chi gli ricorda la nota polemica di quest'estate innescata dalla traduttrice di inglese che sostiene di aver colto nel suo ultimo romanzo «l'eco di qualcuno che scrive e pensa in anglo-americano» (perché Faletti usa espressioni gergali tipiche di quello slang), adombrando quindi l'ipotesi che il libro e gli altri libri siano stato scritti da qualcun altro.


«Fermo restando che un autore usa il linguaggio che vuole (vedi Camilleri) – dice Faletti, che tra altro per sei mesi l'anno vive a New York –, in un paese dove saltano fuori tutti gli altarini figuriamoci se il
ghost writer non veniva allo scoperto. Se io fossi in lui lo farei, considerando che
Io uccido
è uno dei dieci romanzi più venduti nella storia della letteratura italiana».


Cristina Savi

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