Espone il tricolore con la faccia di Mussolini, per il giudice non è apologia di fascismo

UDINE. Sventolò per mesi dall’alto di un pennone in via Nazionale, suscitando le ire dell’associazione partigiani d’Italia, che per questo denunciò il 64enne venzonese Alvio Simonetti. Nel Tricolore con l’effigie di Benito Mussolini ammainato a Venzone per onorare il primo maggio c’era l’amore per la Patria, per le tradizioni di famiglia e finanche per il Duce, ma non c’era esaltazione, né propaganda dei principi fascisti. Non per il Tribunale di Udine, che ieri ha assolto Simonetti dall’accusa di apologia del fascismo.
Delle sue idee politiche, Simonetti non si è mai vergognato. Ma la tradizione di ammainare la bandiera italiana il giorno della festa dei lavoratori per lasciarla sventolare tutto l’anno, quella aveva ben altre origini. A sostenerlo davanti al giudice Paolo Lauteri è stato l’unico teste chiamato dalla difesa nell’ambito del processo celebrato con rito abbreviato condizionato: la moglie Cinzia Tiepolo, figlia del compianto sindaco di Paularo.
Non era la prima volta che la famiglia Simonetti finiva nei guai per le proprie simpatie politiche. Nel 2016, un dirimpettaio aveva chiamato i carabinieri, indignato da una targhetta in cuoio appesa sull’uscio che ritraeva il Duce e recitava “Io tiro dritto”.
«Un ricordo comprato a Predappio – si difese la famiglia – e affisso sulla porta d’ingresso all’interno della palazzina al civico 12 di via Nazionale, quindi un edificio privato». Tant’è che il procedimento fu archiviato. Stavolta, però, era diverso: quella bandiera era un cimelio di famiglia.
Cinzia Tiepolo e suo padre Sergio l’avevano portata a un comizio più di un ventennio fa e l’avevano fatta autografare da Gianfranco Fini. Con la scomparsa dell’ex sindaco Tiepolo, accanto al quale il genero Simonetti aveva militato in consiglio comunale a Paularo per ben due mandati, quel ricordo era diventato prezioso.
E quando il primo maggio del 2017 la famiglia si ritrovò senza un vessillo da esporre, tirò fuori quel cimelio che continuò a sventolare fino al 2 dicembre dello stesso anno. Inutili le rimostranze del presidente dell’Anpi di Gemona Lorenzo Londero e del vicepresidente Valerio Pituelli, che interpellarono il sindaco Fabio Di Bernardo, prima di fiondarsi dai carabinieri.
Passi che la bandiera era in giardino, ma dall’alto dei suoi quattro metri dominava la strada ed era visibile dalla pubblica via, ha messo in chiaro il pm onorario Paola Peressini evidenziando «l’esaltazione di questo personaggio politico che l’imputato ha tutto il diritto di sostenere, ma non in pubblico». Fino a chiedere per lui una condanna a 6 mesi e 20 giorni di reclusione e 160 euro di multa.
Ma è invocando il diritto alla libera manifestazione del pensiero, come difesa elogiativa e non come un’esaltazione tale da poter condurre a una riorganizzazione del partito fascista che l’avvocato Alen Giorgini ha impostato la sua difesa. Da qui il pronunciamento del giudice perché «il fatto non è previsto dalla legge come reato».
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