Emergenza cimici, il frutto guasto non si vende altra beffa per i produttori: «La situazione è disperata»

Le aziende agroalimentari se acquistano lo fanno a pochi centesimi. Gli imprenditori sono disperati: le istituzioni ci hanno lasciati soli
Sedegliano 08 Novembre 2018 raccolta mele Agenzia Petrussi foto Massimo Turco
Sedegliano 08 Novembre 2018 raccolta mele Agenzia Petrussi foto Massimo Turco

Le aziende agroalimentari non accettano più la frutta danneggiata dalle cimici. E quando viene acquistata la pagano, se va bene, un centesimo al chilo.

I produttori del Medio Friuli sono sul piede di guerra anche per quest’ultimo danno economico e scrivono alla Regione, ma anche al Comune di riferimento, per chiedere aiuto esponendo, in modo dettagliato, la perdita subita, per ogni singola impresa agricola.

«In relazione alle denunce fatte si parla di un danno relativo alle aziende frutticole del comune di Sedegliano di oltre 500 mila euro, una stima sommaria minima rispetto a ciò che ancora non è stato denunciato, come cereali, soia e altro - spiega il vicesindaco e assessore all’Agricoltura di Sedegliano, Maurizio Rinaldi – che può arrivare a ben oltre il milione di euro. Inoltre non c’è solo il problema dei produttori, ma anche quello dell’indotto che coinvolge gli addetti alla raccolta e al mantenimento delle piante, che durante la raccolta, anche se in un periodo breve, superano le cento unità».

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I produttori della zona più colpita dall’invasione della cimice del Friuli Venezia Giulia che hanno subito perdite da un minimo del 50% del raccolto frutticolo fino ad arrivare al 100%, cercano quindi di ricavare qualcosa dalla situazione disastrosa di quest’anno. L’ultimo danno è stato appunto quello di cedere, «quasi gratis proprio per non lasciarla sull’albero» la frutta danneggiata dalle cimici all’industria agroalimentare.

Da aggiungere che al momento della lavorazione quest’ultima deve scartare un ulteriore 15-20% del frutto prima di passarlo alla lavorazione. Nel caso del kiwi l’effetto del passaggio della cimice si scopre solo una volta aperto il frutto. «Sono già tre anni che andiamo avanti così, ho speso 30 mila euro per installare l’antinsetto ma non è servito a nulla – spiega uno dei produttori, Luigi Cargnelli - quest’anno 700 quintali al macero. Ancora un anno così e poi chiudiamo l’azienda».

Gli fa eco un altro imprenditore agricolo, Carlo Andreosso. «Ci hanno lasciati soli - lamenta-, le istituzioni sono al corrente del problema, noi siamo al collasso. Se non ci sono soldi chiudiamo l’agricoltura. La situazione è disperata».

Dello stesso avviso Juri Ganzini, nel 2017 la sua azienda ha perso 100 mila euro, quest’anno, tutto.

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