Ecco perché fu venduto lo stabilimento del “baffone” - Foto

Da Udine al mondo non è solo il percorso seguito dalla birra Moretti è anche la motivazione che nel 1989 spinse Luigi Menazzi Moretti, l’ultimo erede dell’azienda di viale Venezia, a cedere il marchio al produttore canadese Labatt passato poi alla Heineken. Oggi la Moretti è la birra più venduta in Italia, senza quella scelta non sarebbe stato lo stesso. «Da mia madre avevo ricevuto la consegna di continuare a gestire l’azienda, ma se continuare significava cadere o affidare la ditta a mani più forte per poter andare avanti, ho scelto: grazie a Dio oggi dai 300 mila ettolitri prodotti allora siamo passati a 2 milioni l’anno».
A raccontare la storia della birra udinese nel volume “La birra Moretti da Udine al mondo. 130 anni di una dinastia imprenditoriale” (Gaspari editore) è lo stesso Luigi Menazzi Moretti, ovvero Luigi III visto che prima di lui portavano lo stesso nome il nonno e il bisnonno a conferma che la storia parte dal 1859.
Il volume è stato presentato, ieri sera, nella sede di Confindustria Udine, dove la risposta della città non si è fatta attendere. «Questa storia è fortemente intrecciata con la città» ha fatto notare il giornalista Paolo Medeossi, secondo il quale il Baffone è un simbolo aereo di Udine come l’Angelo del castello e i due Mori.
Sull’affetto per la birra friulana si sono soffermati anche il presidente della Provincia Pietro Fontanini e il consigliere regionale Vincenzo Martines, mentre l’assessore alla Cultura, Federico Pirone, ha invitato a leggere la storia della Moretti per comprendere l’evoluzione dei luoghi e quindi della città. «È una storia imprenditoriale dei nostri giorni - ha evidenziato il responsabile Cultura di Confindustria, Massimo Ghini -, gli imprenditori sono come sciamani prevedono il futuro. Nel 2015 possiamo bere birra Moretti grazie a una scelta coraggiosa fatta da un’azienda dove si respirava un clima olivettiano, era entrata nelle case, nelle famiglie». Ed è proprio da quello spirito che Ghini prende ispirazione per consolidare il binomio impresa-cultura in città.
Tanti gli aneddoti (alcuni sono stati letti da Giovanni Nistri) raccontati nel libro definito da Medeossi «un atto di coraggio» proprio perché spiega le ragioni della scelta. «Non volevo lasciare qualcosa di non detto - ha puntualizzato Menazzi Moretti - perché avere la fortuna di cedere il marchio a un gruppo che ti rispetta e ti porta in tutto il mondo è soddisfacente».
Le ragioni della scelta riportano alla globalizzazione, «al coraggio - sono sempre le parole dell’imprenditore - di prendere atto delle proprie dimensioni e di valutare che non si può andare avanti da soli». Nella sala affollata dagli invitati, le parole di Menazzi Moretti risuonavano come una lezione rivolta agli imprenditori ingabbiati dalla crisi. Non era certo questo lo scopo della serata, ma l’attualità ha trasformato i racconti, compreso quello sulle due donne, Anna Moretti e Luisa Menazzi Moretti, che hanno ricoperto ruoli fondamenti nell’azienda, in un vero e proprio caso imprenditoriale da studiare per capire il futuro.
La storia della Moretti non trascura la figura di Ugo Omet, il procuratore speciale che gestì per conto di una bambina (Anna Moretti) l’azienda per 20 anni; quella del baffone, il marchio voluto da Lao Menazzi Moretti, il papà «intraprendente» di Luigi, e quella dei dipendenti che nel passaggio di proprietà non persero alcun diritto. Tutti i dettagli emergono dal dialogo tra Menazzi Moretti e il giornalista Mario Blasoni, che rende gradevole la lettura. Un’amicizia quella tra Blasoni e Menazzi Moretti rafforzata con la battaglia sulla denominazione del parco che inizialmente era Foni.
La serata si è conclusa all’Astoria con la consegna del volume agli ex dipendenti nel corso della tradizionale cena annuale.
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