«Ecco perché è più una piazza che una via»

L’architetto Adalberto Burelli, consigliere di Innovare, ripercorre la storia della strada del centro
Di Adalberto Burelli*

di Adalberto Burelli*

Una delle questioni che sembrano irritare maggiormente gli oppositori al progetto di riqualificazione di Mercatovecchio è rappresentata dal fatto che il sindaco Honsell nella sua presentazione abbia definito Mercatovecchio “piazza” e non “via”.

Negli ultimi giorni sono intervenuti il commerciante Federico Lando, Marcello Mazza e Maria Locatelli che sul Messaggero Veneto del 10 febbraio ha invitato il sindaco a «smettere di parlare di piazza Mercatovecchio perché via è e via rimane».

Credo che, data la sostanziale irrilevanza rispetto alla sua effettiva utilizzazione di definire un luogo in un modo piuttosto che in un altro (si pensi al caso di piazza Patriarcato che continuiamo a chiamare piazza anche se, almeno dalla fine degli anni ‘50 quando è stata aperto il viale Ungheria, di fatto è diventata il suo prolungamento) stupisce l’acrimonia con cui gli avversari della “piazza” pontifichino senza curarsi di quanto hanno scritto gli storici della città. Il conte Giovanni Battista della Porta nel volume “Toponomastica Storica della città di Udine” edito dalla Soc. Filologica nel 1991, riporta atti risalenti al XIV e XV secolo in cui Mercatovecchio viene definito “foro veteri” laddove con il termine latino forum si indicava piazza, mercato, e che ancora oggi è usato per indicare spazio per riunioni e dibattiti. Lo stesso concetto viene confermato dalla definizione che ne dà l’erudito viicentino Giovanni Tommaso Faccioli che alla fine del ‘700 descrive Mercatovecchio in questo modo: «Alle radici del colle del Castello verso ponente vedesi la bella contrada o piazza di Mercatovecchio che tien forma di anfiteatro, luogo atto alli tornei e comodo agli spettacoli per le alte case che lo circondano» (in “Chiese di Udine” Deputazione di Storia Patria per il Friuli 2007). Come si vede Faccioli è incerto se definire Mercatovecchio piazza o contrada anche se il dilemma è legato più allo sviluppo planimetrico, alla “forma” del luogo piuttosto che alla funzione cui è destinato: infatti si dilunga a descrivere i tornei cavallereschi come il Palio e la Quintana «usanze antichissime di questa città». Ma oltre alle giostre e ai caroselli vi si tenevano giochi popolari come le corse degli asini, il gioco del pallone, le mascherate e «l’abbrucciamento della vecchia» di metà Quaresima come racconta Chino Ermacora nella sua Guida di Udine del 1955. Non va dimenticato il prof. Giovanno Battista Corgnali, direttore dal 1924 al 1953 della Biblioteca Civica di Udine, secondo il quale «quando i nostri vecchi crearono Mercatovecchio, intesero fare più che un luogo di transito, un luogo di sosta, chiuso da una parte con le case Minisini e da quell’altra col palazzo del Comune» (Ce Fastu? 1965). Voglio infine citare il professor Francesco Tentori secondo il quale Mercatovecchio «è uno degli spazi più belli e armoniosi dell’intera cultura medioevale di matrice tedesca che prima dell’affermarsi della formula reticolare da cui sono nate piazze rettangolari e soprattutto quadrate, le forme dominanti per gli slarghi adibiti a mercato, sono il fuso e il triangolo allungato» (Le città nella storia d’Italia: Udine, Laterza 1988). La spiegazione dell’avversione dei critici del termine “piazza” sta tutta qui: per loro con il termine “via” si sottolinea la persistenza di una destinazione d’uso di Mercatovecchio aperta al traffico, al contrario di “piazza” che, nella cultura europea e soprattutto italiana, rappresenta il luogo degli incontri e delle relazioni. Lo psicoanalista Luigi Zoia ha scritto che «ciò che rende sacra la terra è il modo di camminarci sopra» aggiungendo che «dal punto di vista urbanistico, abbiamo fatto parecchi passi verso il brutto e l’immorale lasciando prevalere la strada, ovvero lo spostarsi degli individui da un punto all’altro, rispetto alla piazza, nella quale si radicava la bellezza condivisa e dove maggiormente si esaltava lo spirito di aggregazione dei cittadini». (Luigi Zoja: “Giustizia e bellezza” Bollati Boringhieri, 2007).

*architetto e consigliere

comunale di Innovare

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