Ecco la pizza made in Udine, viaggio tra i pizzaioli di casa nostra

I commenti di alcuni gestori dopo il riconoscimento Unesco. «Un sigillo che ci tutela, ma gli italiani sono sempre meno»
Udine 08 Dicembre 2017 Campana d' oro © Petrussi - Bressanutti
Udine 08 Dicembre 2017 Campana d' oro © Petrussi - Bressanutti

UDINE. Croccante o morbida, sottile o alta, ma anche all’impasto di carbone o vegana alle alghe. La pizza, in tutte le sue mille sfaccettature, è la regina della tavola, conosciuta in tutto il mondo. Un’icona del made in Italy, oggi ancor più dopo che l’Unesco ha annunciato l’inserimento dell’arte del pizzaiolo napoletano nella “rappresentativa lista dei patrimoni culturali intangibili dell’umanità”.

Perché quell’impasto magico di acqua, farina, mozzarella e pomodoro non sarebbe nulla se non fosse accompagnato dai gesti, dalla capacità di maneggiare, dal gergo locale di chi lo produce e crea. Un rito sociale condito da un’atmosfera conviviale, quasi da palcoscenico, che si respira anche a Udine tra chi porta avanti da decenni quella tradizione. Anche se in Friuli, oggi la gran parte dei pizzaioli sono egiziani, albanesi o provenienti dai Paesi dell’ex Jugoslavia.



Filip Aleksic è originario della Serbia ed è il pizzaiolo delle Due Palme, «ma mi sento – precisa – mezzo napoletano, perché da dieci anni lavoro qui e mi sento a casa, ben integrato». E in effetti si destreggia bene nell’utilizzo del dialetto.

«Oggi fare la pizza è un’arte, è forma e colore – conferma –, come in tutti gli altri lavori nel campo della ristorazione. Si deve sempre creare qualcosa di nuovo». «Spero che questo riconoscimento spinga anche i talenti italiani nascosti a tornare dietro al bancone come un tempo», confessa. E mentre rilascia l’intervista sforna la sua ultima creazione, la pizza “Unesco”: datterini gialli, mozzarella di bufala, basilico e prosciutto San Daniele.

«L’ho sognata stanotte – sorride –. Se i titolari saranno d’accordo la lanceremo sul mercato» e strizza l’occhio alla proprietaria Raffaella Milo, arrivata in Friuli 42 anni fa, con il marito Michele De Rosa, uno dei pionieri della pizza a Udine. «La pizza – afferma – è l’unico prodotto che unisce tutte le parti del mondo. Ma la pizza è soprattutto Italia. Le imitazioni sono un’offesa alle nostre tradizioni». Raffaella punta il dito contro le pizze al taglio «dove si cerca di abbattere il prezzo – dice – con prodotti di minore qualità».

Al Masaniello, pizzeria in piazzale Cella incontriamo Goran Drinovec, originario della Slovenia, «ma di scuola napoletana, la migliore», precisa anche lui orgoglioso. Per il titolare del ristorante, Aniello Donnarumma «il riconoscimento Unesco può essere un’occasione, ma la differenza la fanno ancora i singoli pizzaioli». Ma la pizza napoletana, quella vera, esiste a Udine? «No – dice con schiettezza Donnarumma – perché l’acqua ha più calcare e perché manca l’atmosfera del mare».

Chi ancora suda dietro al forno nonostante l’età è Pietro Di Martino che dal locale “Al Rugantino” sentenzia. «La smetteranno di prenderci in giro che siamo il Paese della pizza e del mandolino. Questo è un sigillo che ci tutelerà. Anni fa, infatti, l’Europa voleva addirittura bandire il forno a legna. Ora siamo inattaccabili». «L’unico mio rammarico è che ormai pizzaioli italiani ci sono pochi perché questo è un lavoro stressante e faticoso».

Più dubbioso sugli effetti del riconoscimento Unesco è il nipote Gianluca Di Martino che gestisce la pizzeria “Da Pierino”. «Noi siamo bravi a creare. Il problema è che gli americani sono bravi a venderla. Hanno creato marchi e catene e sono imbattibili a replicare il prodotto e a esportarlo. E poi ci sono tanti che si sono improvvisati questo mestiere rovinando il mercato».

Non festeggia e attende di capire quali effetti porterà questo traguardo Francesco Fierro, titolare della pizzeria “Cantina Fredda”, radicata a Udine da 45 anni. «È un traguardo per i pizzaioli napoletani. Qui la clientela affezionata continuerà a venire con o senza Unesco» dice convinto.

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