Ecco il sogno di un’Italia che ha bisogno di impegno

UDINE. A raccontarci il ventennio che va dal 1984 al 2004 sono venuti la penna del Fatto quotidiano nonché volto notissimo della tivù Andrea Scanzi e l’eclettico Giulio Casale, poeta rock che da una decina d’anni si presta anche al teatro. Servivano due personalità poliedriche come le loro per rappresentare quello che, con un titolo pasoliniano, hanno definito come “Il sogno di un’Italia”.
La storia di un ventennio che, scandito nella sua quotidianità, ci riporta a miti ed eroi popolari, ormai già archiviati dalla nuova generazione nel capitolo “secolo scorso”. Una linea di demarcazione che preclude ai giovani d’oggi la possibilità di essere ispirati dai personaggi che parlavano a quelli di ieri.
Assistendo allo spettacolo, ci si immerge in una ricostruzione a trecentosessanta gradi in un periodo che non è ancora storicizzato e che offre, dunque, in modo molto teatrale, preziose chiavi di lettura per il presente. Attraverso cinema, sport, musica, tivù, politica e quant’altro si ricrea l’ambientazione dell’adolescenza di chi sognava il cambiamento ma si è arresa di fronte alle opportunità per ottenerlo concretamente. Lo stesso sottotitolo (“Vent’anni senza andare mai a tempo”) richiama a tutti quei matchpoint persi a causa dell’ignavia.
Quello che Casale ha sottolineato nell’incontro di Casa Teatro è il fine ultimo: non ci sarebbe, infatti, una volontà di analisi storico-didascalica, quanto, invece, l’esigenza di pungolare le nuove generazioni. Pur mantenendo uno sguardo critico su una realtà italiana che non presuppone di certo una visione positiva, si è resa indispensabile una rivoluzione di pensiero, che ricerchi una complessità a dispetto della facile vittoria dello slogan. Scanzi e Casale invitano a distanziarci da chi, seppur con un fondo di innegabile verità, annuncia l’inutilità di qualsiasi sorta di fiducioso impegno per dare la svolta a un’Italia così avversa alla novità.
E anche se è un personaggio del peso di Monicelli a suggerirci la resa, dicendo che “la speranza è una trappola inventata dai padroni”, non può affievolirsi quella rabbia che dovrebbe risvegliare i famigerati “sdraiati”. Anche Antonino Caponnetto, magistrato che per sei anni fu alla guida del Pool antimafia, credeva che tutto fosse finito dopo la strage di via d’Amelio, ma poi, desideroso di una ripartenza vera, ha portato la storia che lui stesso aveva fatto nelle scuole e nelle piazze di tutta Italia.
Un esempio concreto di chi, nonostante tutto, ha voluto dirci di rimanere forti e continuare a credere nel miglioramento senza mai dimenticare i tentativi di chi ci ha preceduti.
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