Donne di garbo e di lettere nel Friuli d’antico regime

Fabiana Savorgnan di Brazzà sulla scia del Liruti e del Marcotti: ritratti di monache e artistocratiche al centro della società colta tra ’500 e ’700.

Udine può vantare un’eccellenza di cui poco si parla, pur essendo quello della condizione femminile nella società italiana uno dei temi più frequenti di discussione. In ambito culturale, infatti, il capoluogo friulano è connotato dalla rilevante e qualificata presenza di studiose di classe in posizioni di prestigio, dal Magnifico Rettore dell’ateneo, Cristiana Compagno, ad Antonella Riem, preside della Facoltà di lingue e letterature straniere, dove insegna un gran numero di valenti docenti donne, a Liliana Cargnelutti, una delle migliori ricercatrici di storia culturale regionale, e alle conservatrici dei Civici Musei di storia e arte – Vania Gransinigh, Isabella Reale, Tiziana Ribezzi e Silvia Bianco –, senza dimenticare Francesca Tamburlini, della Biblioteca Civica Joppi, e Roberta Corbellini, direttrice dell’Archivio di Stato, oltre a quella notevole storica della vita economica e sociale che è Luciana Morassi. A questa schiera appartiene di diritto Fabiana Savorgnan di Brazzà, apprezzata italianista della locale Università, di cui due anni fa segnalammo l’edizione del carteggio di Renata Steccati con Michele Barbi, e che ora, proseguendo con acribia nelle indagini sulla presenza femminile nella realtà regionale, ha appena dato alle stampe, nella collana I gelsi dell’editore Gaspari, il volumetto, il cui valore è inversamente proporzionale alla mole, Scritture al femminile nel Friuli dal Cinquecento al Settecento, con una premessa di Liliana Cargnelutti (128 pagine, 14,oo euro).

In un tempo in cui si sfornano libri di storia senza aver mai messo piede in un archivio o nel fondo storico d’una biblioteca, va segnalata con estremo favore una ricerca tutta fondata su indagini archivistiche e bibliografiche di prima mano – condotte da Udine a Cremona e Padova, da Piacenza a Oderzo, Treviso e Vittoria Veneto –, oltre che sulla piena padronanza della letteratura specialistica, come attestato dal cospicuo apparato critico di corredo. Senza esplicite professioni di femminismo, aliene dal suo stile, l’autrice da tempo attende a un lavoro sistematico, condotto con appassionata intelligenza, mirante a mettere in luce l’influenza delle donne (favorite dalla diffusione della stampa e della scrittura volgare) nella società e nella cultura del Friuli dal Cinquecento a oggi. Riprendendo e sviluppando un saggio del 2009 sulla corrispondenza tra Lavinia Florio Dragoni e Melchiorre Cesarotti, uno dei maggiori intellettuali dell’Italia tra Sette e Ottocento – ma sullo sfondo compaiono pure l’Algarotti e il Pindemonte –, ora s’esaminano, sulla scia del settecentesco scritto del Liruti Delle donne di Friuli illustri per lettere, le biografie sia di monache quasi sconosciute sia di donne d’elevata condizione come Maria Savorgnan, corrispondente e amica del Bembo, Irene di Spilimbergo, Lucia Colao, autrice di composizioni petrarcheggianti – di cui in appendice ne vengono riportate quindici –, concludendo con la Florio Dragoni e la sua amica Francesca Valvasor, consorte dello storico goriziano Carlo Morelli; in appendice, inoltre, è pubblicata una scelta di lettere di o su Lavinia Florio.

Questo nuovo contributo di storia letteraria, inoltre, richiamandosi anche a Donne e monache del Marcotti e valorizzando un filone di ricerca negli ultimi anni opportunamente avviato da Benedetta Craveri, svolge pertinenti riflessioni sulla condizione femminile in età moderna e sulla graduale, benché contrastata, emancipazione settecentesca, attestata dal ruolo che le donne svolgono nei loro salotti, spesso ritrovo di dotti, e dalle corrispondenze intrattenute con l’élite intellettuale, come documentato anche dal diffuso genere degli Elogi. Non è un caso che uno dei più notevoli romanzi ambientati nel maturo Settecento, Les liaisons dangereuses di Choderlos de Laclos, abbia per protagoniste, nel bene e nel male, due aristocratiche.

Quest’ideale galleria di donne “di garbo”, finemente tratteggiata e che fornisce l’occasione per un discorso d’ampia portata sociologica e storica, che, tra l’altro, prospetta un’immagine assai più mossa e vivace del mondo friulano d’antico regime di quella un tempo tramandata, trova ideale coronamento nel ritratto di Fabiana Savorgnan di Brazzà, cui ben s’attaglia quanto scritto dal Cesarotti alla Morelli: «Fra tante virtù avete un solo vizio, ma estremo: la modestia».

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Argomenti:cultura

Riproduzione riservata © Messaggero Veneto