Dipendente rimosso dall’incarico, paga anche l’ex direttore

Udine, la Corte dei conti lo ha condannato a risarcire all’Inps (già Inpdap) metà del danno causato con la propria determinazione

UDINE. La revoca a un lavoratore di un incarico di posizione organizzativa decisa in assenza di «atti scritti e motivati» e di uno dei presupposti indicati dal Contratto collettivo nazionale del lavoro non può che essere considerata «palesemente illegittima».

E tale è stato infatti giudicato il provvedimento con cui, il 22 giugno 2009, l’allora dirigente dell’Inpdap di Udine, Fabrizio Gregoris, 57 anni, di Spilimbergo, rimosse un dipendente dal ruolo cui era stato da tempo assegnato.

Ora, per quella determinazione, impugnata davanti al giudice del lavoro e costata già all’Inps un risarcimento dei danni a favore del ricorrente pari a 45.718,31 euro, lo stesso ex dirigente dovrà versare la metà del conto.

Così ha stabilito la Corte dei conti del Fvg, attribuendo a Gregoris, così come ai suoi superiori - in due, entrambi non convenuti in giudizio -, con ripartizione paritaria, il titolo di «colpa grave». La sentenza, che pure ha accolto una parte delle istanze avanzate dalla difesa, sarà impugnata.

«È stata riconosciuta la responsabilità virtuale degli organi superiori – ha detto l’avvocato Francesco Maiorana, di Pordenone –, ma restano contraddizioni che cercheremo di fare valere in appello».

Il dipendente rimosso è lo stesso che, l’anno scorso, aveva testimoniato nel processo che vedeva Gregoris imputato di mobbing nei confronti di un’altra dipendente dell’Inpdap - poi confluito nell’Inps - e che si era concluso con la sua assoluzione.

Il verdetto aveva lasciato poco sorpreso l’avvocato di parte civile. «Durante l’istruttoria è stato provato come gli episodi si siano effettivamente verificati – aveva detto Rosi Toffano –. Lo ha affermato anche un collega della mia assistita, sentito come teste e che, non a caso, nel frattempo ha vinto un causa di lavoro contro Gregoris.

Lamentava comportamenti simili ed è stato risarcito. Il problema – aveva aggiunto – è che la giurisprudenza non prevede il reato dei maltrattamenti (ossia del cosiddetto mobbing, ndr) nel caso in cui questo avvenga in grandi enti pubblici. Per questo, nelle mie richieste avevo proposto la riformulazione nell’ipotesi degli atti persecutori».

In questo caso, a Gregoris si contestava di essersi limitato a legittimare la determinazione «con personali motivazioni, contenute nel provvedimento e in una nota riservata comunicata al solo interessato», relative «alle sue ripetute lunghe assenze e ad alcuni tratti del suo carattere giudicati particolarmente negativi».

Nella causa civile, l’Inps aveva difeso il suo operato, definendolo improntato «a corretteza e moderazione». Ma poi, incassata la condanna a pagare i danni al lavoratore, non aveva proposto appello. La Procura contabile era intervenuta a questo punto, citando in giudizio l’ex direttore - nel frattempo trasferito a Pordenone - e chiedendo che a sborsare la somma fosse lui soltanto.

L’ex direttore aveva quindi optato per una doppia linea difensiva: da una parte, sostenere la fondatezza della propria decisione, dettata a suo dire dal «venir meno della capacità del dipendente di relazionarsi con lui e i colleghi e dai suoi comportamenti verbalmente aggressivi»; dall’altra, insistere sulla «corresponsabilità dei suoi superiori, che, subito notiziati della determinazione, non assunsero alcun provvedimento».

Tenuto conto anche della consulenza tecnica che, in sede civile, aveva ritenuto comprovato un «danno biologico psichico permanente» al lavoratore, la sezione giurisdizionale triestina (presidente relatore Paolo Simeon) ha condannato Gregoris a versare all’Inps il danno erariale nella misura di 22.859,15 euro, ferma restando «la significativa incidenza causale» ascrivibile anche ai responsabili di vertice dell’istituto.

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