Dieci mascherine in regalo domenica con il Messaggero Veneto in edicola: sono offerte dalla Mavis

UDINE. Gente riservata i friulani, poco espansiva, per nulla incline al mettersi in mostra. Ma gente capace di grandi gesti di solidarietà. Spesso silenziosi, fatti per il gusto di dare una mano, senza clamore. Così è stato in questo anno di Covid per i fratelli Luisa e Andrea Zanier, titolari della Mavis srl di Remanzacco, azienda nata oltre mezzo secolo fa producendo tapparelle, specializzata nei profili in plastica forniti oggi ai settori più svariati, dal mobile all’automotive fino al medicale.
Che c’azzecca l’estrusione della plastica con il Covid? Andrea e Luisa se lo sono chiesti un anno fa, durante il primo lockdown, quando la produzione si è fermata per mancanza di ordini, nonostante il codice Ateco dell’azienda permettesse loro di continuare a lavorare. Che fare dunque per non lasciare l’azienda ferma e dipendenti in cassa integrazione?
E per dare una mano al Friuli vessato dal virus? La risposta, i lettori del Messaggero Veneto la terranno in mano domenica: un pacchetto di 10 mascherine prodotte a Remanzacco che la Mavis ha voluto regalare con il giornale per raggiungere il maggior numero di persone possibile. Da un anno ormai l’azienda sforna mascherine chirurgiche, al ritmo di 120 mila al giorno. Le ha testate, certificate, migliorate strada facendo per consegnare ai friulani (e non solo a loro) il miglior prodotto possibile. Naturalmente made in Italy. Un’impresa che non parla solo la lingua del business e che abbiamo chiesto a Luisa e Andrea di raccontarci.
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Riavvolgiamo il nastro e torniamo a marzo 2020. Perché proprio mascherine?
«Il nostro codice Ateco ci permetteva di lavorare ma ordini non ce n’erano. Dovevamo scegliere tra il mettere in cassa integrazione i nostri dipendenti fermando l’azienda o inventarci qualcosa. Avevamo notato la mancanza di dispositivi di protezione. Più persone ci raccontavano di utilizzare per giorni e giorni la stessa mascherina, non di rado confezionata in casa».
E quindi?
«Abbiamo iniziato a chiederci come dare il nostro contributo, sfruttando il nostro codice Ateco e le nostre competenze sui polimeri. E ci siamo indirizzati sulle mascherine chirurgiche che sono realizzate in polipropilene, materiale che già lavoriamo. Abbiamo passato ore e ore a fare ricerche in rete per trovare un fornitore di impianti valido per produrre dispositivi di qualità in tempi brevi. In Europa le ditte di automazione non avevano ancora sviluppato le competenze e quindi non erano in grado di consegnare velocemente. Le produzioni di questi impianti si erano da tempo delocalizzate nei paesi asiatici dove le mascherine vengono prodotte a basso costo. La Cina quindi era l’unico posto in cui potevamo ordinare una macchina per produrre i dispositivi e riceverla in tempi brevi».
Non è stato facile...
«Per nulla. Una volta individuata la macchina che faceva per noi, abbiamo dovuto organizzarne il trasporto. Via nave era impensabile. Ci avrebbe messo oltre 2 mesi e di navi per altro ce n’erano ben poche».
Come avete fatto?
«L’abbiamo caricata su un aereo. Con costi mostruosi. Abbiamo speso qualcosa come 21 mila euro solo per farla arrivare in Friuli».
Tempi?
«Da quando l’abbiamo ordinata a quando ci siamo messi a produrre è passato un mese. Senza contare la difficoltà nel metterla in opera, perché una volta arrivata non c’era quasi nessuno che lavorava e noi dovevamo fare allacciamenti, testare la macchina, certificare i prodotti. È stata una corsa ad ostacoli».
Chi vi ha dato una mano?
«All’inizio un po’ tutti. A livello locale ma anche nazionale. Penso ad Assolombarda, avevano liste gratuite di tutti i fornitori, liste dei test da fare, insomma ci hanno dato una grande mano, rispondevano a qualsiasi ora, anche domenica sera, e senza chiedere un euro. Ci hanno sostenuto anche Confartigianato Udine, Confindustria Udine, il farmacista Michele Favero e tutti i nostri consulenti. I nostri dipendenti sono stati fantastici, hanno supportato al 100% la nostra iniziativa. Con entusiasmo hanno lavorato senza sosta per raggiungere l’obiettivo in tempi rapidi. È stato il periodo più bello. Anche perché abbiamo potuto assumere alcune ragazze per incrementare la forza lavoro. È con l’aiuto di tutti che siamo riusciti ad andare avanti e che vogliamo pubblicamente ringraziare per l’importante sostegno. Abbiamo anche studiato tanto».
Che accoglienza hanno avuto le vostre mascherine?
«Beh all’inizio non riuscivamo nemmeno a produrle che erano già esaurite. Fin da subito abbiamo deciso di praticare prezzi bassi, di essere onesti con il pubblico, non si poteva far pagare un euro una mascherina che costava molto meno. Noi veniamo dalla produzione, dall’industria, è il nostro modo di essere».
Non vi siete accontentati.
«Dopo poco i prezzi hanno iniziato a scendere per effetto dell’enorme quantità di mascherine arrivate dalla Cina. E a quel punto ci siamo chiesti se fosse possibile fare di più. Produrre con maggiore velocità. La macchina che avevamo andava lentamente. Così ne abbiamo comprata un’altra. Ne abbiamo migliorato la tecnologia, riuscendo a confezionare in una volta sola mascherina ed elastici. Con un risultato doppio: abbiamo aumentato la velocità di produzione arrivando fino a 400 mascherine al minuto, siamo riusciti a contenere ancora il prezzo e anche a garantire una migliore indossabilità grazie a morbide bande elastiche che non si staccano e non tagliano l’orecchio».
Che capacità di filtrazione hanno le vostre mascherine?
«Il 98%, quindi molto alto, sono made in Italy, certificate. Eppure...».
Eppure?
«In questi mesi abbiamo avuto più difficoltà a piazzarle. Non tanto con i privati. Le aziende ne hanno prese moltissime. Ma con il settore pubblico non c’è stato verso. Abbiamo un prodotto italiano, sicuro, poco costoso, eppure la pubblica amministrazione non ci ha aperto le porte. Negli ospedali e nelle scuole abbiamo visto per mesi arrivare mascherine cinesi».
Si intuisce amarezza.
«Diciamo che all’entusiasmo dell’inizio oggi proviamo un po’ di disamore. Ed è per questo che abbiamo deciso di fare un regalo ai friulani. Per recuperare lo spirito di solidarietà che ci ha spinti in quest’avventura».
E il business?
«Le mascherine chirurgiche le abbiamo fatte e le stiamo facendo principalmente per dare un aiuto. Anzitutto ai nostri dipendenti, che grazie a quest’iniziativa non hanno fatto un solo giorno di cassa integrazione perché l’azienda non si è mai fermata. E per aiutare il Friuli e i friulani e tutti quelli che ne avessero bisogno».
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