Deborah, l’architetto migrante fuggita da Cordenons

CORDENONS. A 39 anni è mamma da nove mesi, sposata da due anni con un ingegnere aerospaziale americano e vanta una carriera da architetto di tutto rispetto che le fa dire, con il sorriso in volto: «Grazie all’Inghilterra e all’America mi sento molto realizzata nel mio lavoro».
Deborah Bortolin è uno dei “cervelli in fuga” dall’Italia, che in Italia ha deciso di non tornare più a vivere. Nata e vissuta a Cordenons fino al 2007, quando accettò la proposta della Design international, studio leader a livello mondiale nei progetti di vasta scala, di trasferirsi a lavorare a Londra, in questi giorni è in visita alla famiglia.
I suoi genitori sono Giovanni Bortolin, designer di mobili oggi in pensione, e Silvia Raffin, il fratello è Maximiliano.
A Cordenons Deborah ha mosso i primi passi nel mondo del lavoro, dopo la laurea in architettura all’università di Venezia e a una prima esperienza in uno studio di Mestre.
«Sono anni – dice – che ricordo volentieri per le persone con cui ho lavorato quando collaboravo con lo studio Sint dell’architetto Walter Grigolon e poi con lo Studioscian di Lucio Scian, ma di cui non ho per niente nostalgia per quanto riguarda il sistema di lavoro cui si è costretti e che mina la dignità della categoria».
All’estero le cose funzionano diversamente e Deborah, in cambio di sacrifici, impegno e competenza, ha ottenuto grandi soddisfazioni nel lavoro.
«Per quattro anni e mezzo – racconta – a Londra sono stata responsabile di diversi progetti, coordinavo un team di colleghi, e viaggiavo molto, in Europa, Asia e Nord Africa. Mi sono poi trasferita in America, a Los Angeles, per seguire mio marito: non ho avuto alcun problema a trovare lavoro. Fino ad agosto ho lavorato per la Jerde partnership Int., un grosso studio con progetti in America, Asia e Russia».
Al suo rientro si trasferirà in Florida con la famiglia e, ancora una volta, il lavoro non sarà un problema, come succede invece per i suoi colleghi architetti italiani.
«Ho lasciato l’Italia – racconta – perché ero stanca di combattere contro un sistema burocratizzato che non ci tutela. Si passa la maggior parte del tempo a contrattare con le amministrazioni pubbliche – ricorda – sull’applicazione delle norme e i progetti rallentano a discapito della funzionalità degli stessi, del professionista che li segue e del cliente finale. All’estero le regole sono ferree e snelle, la gente le applica e ne guadagna la qualità del lavoro e la soddisfazione di chi lo fa».
La carriera di Deborah dal 2007 è in crescita .
«A Londra come in America l’opportunità ti viene data sempre: se cadi perdi tutto, ma se cadi in piedi il mondo è tuo e questo per me è stimolo a dare il massimo, perché so che i miei sacrifici vengono ripagati. I miei amici in Italia mi raccontano di una situazione insostenibile ed è triste che i giovani siano costretti a fare le valige, dal paese in cui hanno studiato e investito».
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