Dalla peste al coronavirus: riaperta la chiesetta dedicata a San Rocco

Fu costruita nel 1510 dalla confraternita nata all’interno del duomo dopo l’ennesima scia di morti. Nel XV secolo furono molte le epidemie e quando ogni rimedio pareva vano ci si rivolgeva a Dio 
Udine 15 Marzo 2020. Coronavirus. Chiesa di San Rocco. © Foto Petrussi
Udine 15 Marzo 2020. Coronavirus. Chiesa di San Rocco. © Foto Petrussi

UDINE. La peste colpì ripetutamente Udine e il Friuli nel XV secolo e, quando ogni rimedio pareva vano, non restava che alzare gli occhi al cielo e rivolgersi a Dio nella certezza che tutto ciò fosse una punizione divina per i peccati commessi e diventasse necessario chiedere il perdono con processioni, voti e invocazioni di aiuto ai santi preposti a difendere dal contagio. Fu a quel tempo che crebbe il culto di San Rocco, il francescano francese che aveva rinunciato alle ricchezze di famiglia mettendosi in cammino per conoscere povertà e dolore, dedicandosi soprattutto al soccorso degli appestati. Fama la sua cresciuta nei secoli e giunta fino ai giorni nostri, tanto che chi crede si affida sempre a San Rocco per sconfiggere, con la preghiera, ogni tipo di epidemie e malattie, anche le più contemporanee.

Quando il “morbo” colpì Udine: così nacque la chiesa di San Rocco per proteggere la città dalla peste


Udine dedicò a San Rocco la chiesetta che ancora si può vedere nel quartiere a lui intitolato. Fu costruita nel 1510 dalla confraternita nata all’interno del duomo dopo l’ennesimo terribile attacco sferrato dalla peste. In questi giorni di marzo è stata eccezionalmente riaperta e dentro è possibile vedere la copia della pala d’altare eseguita da Pellegrino da San Daniele (l’originale è esposto nel Museo diocesano) più la statua lignea dedicata al santo che ci protegge dalle epidemie. Su un banco ci sono i foglietti con la preghiera rivolta alla Beata Vergine in cui si invoca la sua protezione “mentre la nostra salute e serenità sono turbate da un virus subdolo e invisibile”. In un quadretto è esposto anche l’articolo apparso sul Messaggero Veneto lo scorso 7 marzo, dove si narra questa straordinaria storia di devozione.

La chiesetta eretta nel 1510 non fu l’unica iniziativa udinese decisa in anni tribolati mentre si affrontavano le emergenze costruendo cappelle votive. Ci fu anche un caso curioso avvenuto attorno al 1475 perché a Udine (dove spesso le cose si complicano attorno ai progetti pubblici, originando discussioni infinite, come si sa anche al giorno d’oggi) presero piede due idee, entrambe dedicate a San Rocco, ma in contrasto tra loro. La vicenda propone aspetti interessanti su personaggi e spirito dell’epoca ed è narrata in un saggio apparso nel 2012 su “Memorie storiche forogiuliesi”, edite dalla Deputazione di Storia patria, rintracciabile nel sito “Riviste friulane”, curato dalla Filologica che ha reso disponibili, con facilità e immediatezza, documenti preziosi. Il saggio (intitolato “San Rocco versus San Rocco. Peste ed edifici votivi a Udine nel XV secolo”) è tratto dalla tesi di laurea di Cristina De Zorzi, discussa nel 2011 all’università di Udine e dedicata alle architetture cittadine legate alle tristi vicende di quei tempi.

Dunque, ecco cosa accadde 556 anni fa. Nel 1464, durante l’ennesima epidemia che colpì Udine fino al 1469, il consiglio comunale deliberò di allestire un lazzaretto a San Gottardo, verso il Torre, ma quando nel 1475 il contagio si ripresentò con forza la comunità, demoralizzata, disperata, decise che doveva votarsi a San Rocco, chiedendo la sua intercessione tramite la dedica di una cappella. In merito a dove farla, il vicario del patriarca suggerì di elevarne una doppia all’interno del duomo, rafforzando l’invocazione con il ricorso anche a San Sebastiano, pure ritenuto efficace in chiave anti-peste.

Sembrava tutto chiaro, ma la questione si complicò quando il deputato comunale Giovanni della Donna Onesta (il cognome era proprio questo...) avanzò riserve su tale soluzione, perché nel frattempo la Confraternita di Santa Maria di Castello, agendo autonomamente, aveva ritenuto più utile costruire una chiesa per San Rocco sul colle che domina la città, trovando in ciò l’appoggio di ampia parte della popolazione, disposta a contribuire pur di sconfiggere il male. Morale della storia narrata da Cristina De Zorzi: a fine 1475 i due progetti (quello comunale e quello privato) partirono insieme, a poca distanza. Muratori al lavoro in un’ala del duomo e altri in castello, in una gara incredibile, ma in entrambi i casi emersero presto problemi di soldi e finanziamenti tanto che gli stessi promotori dovettero provvedere.

Di tutto ciò oggi non rimane traccia in quanto le due cappelle furono in pratica cancellate dalla riforma architettonica del duomo voluta nel Settecento dalla famiglia Manin. Erano situate nella navata destra, dove ci sono ora le cappelle dei Santi Ermacora e Fortunato e della Santissima Trinità.

Resta una piccola testimonianza all’esterno, sul fianco della cattedrale, dov’è murato un bassorilievo di San Rocco abbigliato da pellegrino. Stessa sorte per la chiesa in castello, che si trovava alla fine del porticato del Lippomano, sconsacrata in epoca napoleonica e demolita quando il Comune decise di aprire un passaggio verso il Giardin grande. A sua memoria rimane una lapide, ora poco leggibile, con la scritta: “Su questo ripiano sorgeva l’oratorio di San Rocco. Eretto nel 1476, demolito nel 1883”.

L’analogo destino dei due luoghi di culto si spiega con un fatto: il diradarsi e la scomparsa delle epidemie resero nel tempo sempre meno urgente e necessario ricorrere a San Rocco, finito così nel dimenticatoio. C’era la convinzione che non servisse più invocarlo.

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