Dal galantuomo Chientaroli alla semisconosciuta Marcolini

di VINCENZO COMPAGNONE
Un gentiluomo d’altri tempi come Bruno Chientaroli spiazzato dalla scomoda convivenza con la rivoluzione psichiatrica di Franco Basaglia. Un giovane rampante come Gianfranco Crisci che si vede stroncata la carriera dalla maxitruffa delle lotterie, una delle vicende giudiziarie più inverosimili degli ultimi decenni. Una semisconosciuta come Monica Marcolini catapultata a 28 anni sotto i riflettori della politica che conta dal negozietto del centro in cui vendeva mangimi per piccoli animali.
Sono soltanto tre dei presidenti della Provincia, tre su 13 (nel computo anche i commissari Americo Feruglio e Noè Pasquale Laveder) dal primo gennaio del 1949 ad oggi. Ognuno di loro, a suo modo, ha fatto la cronaca e la storia, insieme con assessori e consiglieri, di questa istituzione che, a Gorizia, chiuderà i battenti il 30 novembre. Comunque la si pensi (da tempo c’era chi la considerava un ente inutile, ma non mancheranno coloro che la rimpiangeranno) è un pezzo di storia che se ne va, un sipario che cala dopo 67 anni su eventi e personaggi che, di questi tempi, ritornano alla mente.
Ad aprire la galleria di quanti occuparono lo scranno di presidente fu un esponente storico del Partito popolare e poi della Dc, quell’Angelo Culot , avvocato, che, uomo di fiducia di Alcide De Gasperi, accompagno l’allora presidente del consiglio alla Conferenza di pace di Parigi del 1946, influenzandone le scelte e gli orientamenti anche nell’ottica di un’appassionata difesa delle nostre terre. Uomo politico di grande spessore, Culot resse l’amministrazione provinciale per tre mandati, per poi cedere il timone dell’ente a Bruno Chientaroli, ingegnere, antesignano degli uomini della società civile prestati alla politica (era stato eletto come indipendente nella lista della Dc).. Recordman di durata alla guida della Provincia (anche per lui tre mandati equivalenti a 14 anni), Chientaroli era una persona mite e cortese, che diede ottima prova di sé nella conduzione dell’ente ma i cui destini si intrecciarono, proprio nei primi 8 anni di presidenza, con quelli di Franco Basaglia. In quell’epoca la sanità era gestita dalla Provincia e Basaglia abitava con la famiglia in un appartamento all’ultimo piano del palazzo di corso Italia. Non sappiamo quante volte lo psichiatra e il presidente si siano incrociati lungo le scale, ma sappiamo che i rapporti furono sempre tormentati. Il riordino dell’archivio dell’ex Opp (il manicomio) ha riportato alla luce spezzoni di un lungo carteggio. C’è una lettera in cui Chientaroli chiedeva spiegazioni sulle voci secondo cui alcuni ospiti dell’Opp avevano rapporti sessuali all’interno della struttura. A fare la guerra a Basaglia, più che Chientaroli che cercava comunque una difficile mediazione, fu soprattutto il suo assessore alla Sanità, Ermellino Peressin da Villesse, tuttora vivo e vegeto e nemico giurato dello psichiatra, costretto a gettare la spugna e a cercare migliori fortune altrove, alla fine degli anni ’60, sull’onda emotiva suscitata dal caso Miklus (un paziente che, mentre beneficiava di un permesso, aveva ucciso la moglie).
Più brevi – un paio d’anni ciascuno – furono le esperienze sul ponte di comando di Giuseppe Agati, un uomo di cultura che poi si dedicò anima e corpo all’organizzazione delle stagioni teatrali al Verdi, e del professor Silvano Pagura, non vedente, indimenticato insegnante di storia e filosofia al Liceo classico e poi consigliere regionale, sempre nelle file della Dc.
I primi anni 70, peraltro, coincisero con il periodo forse più brillante nella storia della Provincia, quando sui banchi del consiglio duellavano personaggi del calibro del democristiano Rolando Cian, del comunista Silvino Poletto, il mitico “partigiano Benvenuto” e del missino Carlo Pedroni, avvocato dall’oratoria impagabile.
Durò per ben 8 anni, invece, la prima presidenza “di sinistra”, quella del socialista Silvio Cumpeta, filosofo e poeta di Staranzano che rivelò insospettabili doti di politico. E poi fu la volta di Crisci. Segretario particolare dell’onorevole Santuz, una gavetta nella Dc come segretario comunale e poi provinciale, sembrava destinato a una fulgida carriera. Scivolò sulla buccia di banana della maxitruffa delle lotterie, per la quale furono arrestati il fratello e un altro goriziano, Aldo Pierattoni. Raggiunto da un avviso di garanzia, il partito lo costrinse a dimettersi. Al processo il suo coinvolgimento nella vicenda non venne provato, e Crisci fu assolto. Ma il ritorno sulla scena politica rimase una chimera. Dopo una nuova parentesi socialista con Gino Saccavini, ferroviere monfalconese originario di Moimacco (già sindaco della città dei cantieri) arriviamo alla svolta epocale del 1993, prime elezioni dirette del presidente, nell’immediato dopo-Tangentopoli. L’arrembante Lega Nord di Umberto Bossi lancia a Gorizia Monica Marcolini, che batte il dc Alberto Bergamin e passa con disinvoltura dall’angusta bottega di viale 24 maggio dove vendeva cucce per cani e collari antipulci allo studio elegante e imbandierato al primo piano del Palazzo, alla guida di un monocolore leghista.
Dopo un quadriennio arriva il ciclone-Giorgio Brandolin a spazzar via tutto. Ex terzinaccio nelle giovanili dell’Udinese e del Ronchi, presidente del Coni, Brandolin, soprannominato il Depardieu di Pieris per la somiglianza con l’attore francese, porta in Provincia una ventata d’aria nuova, efficiente e decisionista. Per lui è il trampolino di lancio verso cariche prestigiose culminate con quella di deputato. Dei tempi della Provincia gli è rimasta l’avversione per il cellulare (che chiama tuttora “il masinin”) e i social network. Alle aule e alle lunghe riunioni preferisce lo stare fra la gente con cui può scherzare nel colorito idioma bisiaco. Dopo di lui, Enrico Gherghetta, ma questa è ancora cronaca: per chiudere la “Provincia-story” mancano tre giorni…
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