Dagli Usa a Udine: "Sono io il bambino nel quadro di Afro"

Lo scienziato Joseph Kates torna dopo 60 anni e si racconta. Ricorda il pittore e Cavazzini, ritrova la casa di via Marinoni

UDINE. Ricorda l’amicizia che legava la madre udinese al pittore Afro Basaldella, un’amicizia vera che portò l’artista a frequentare la famiglia Del Pup e a notare il piccolo Joseph Kates mentre rincorreva un tacchino. Era il 1955 e l’artista trasferì quella corsa nel quadro “Ragazzo con tacchino”.

«Quel ragazzo sono io» conferma Kates, il biologo molecolare di fama internazionale, tornato a Udine dopo 60 anni. In via Marinoni, al civico 2, ritrova la casa dove visse con la madre vedova, ricorda il parroco di San Giacomo, Riccardo Della Rovere, che gli trasferì la passione per le scienze. Rivive l’atmosfera assaporata nell’appartamento del commerciante Dante Cavazzini, affrescato sempre da Afro.

Oggi Kates ha 76 anni. Alle spalle ha una carriera scientifica di tutto rispetto che lo portò a dirigere la ricerca alla Bayer Pharmaceuticals e prima ancora a partecipare, alla Princeton university, alla scoperta della trascrittasi inversa nei retrovirus per la quale Baltimore e Temin ricevettero il premio Nobel.

Mai avrebbe immaginato che accettando l’incarico di consulenza alla Ulisse biomed (la start-up udinese, presieduta da Daniele Cortolezzis, promossa da due giovani biologi molecolari, Rudy Ippodrino e Bruna Marini) avrebbe rivissuto le emozioni di quel bambino che andava a pregare nella cappella Manin ed entrava e usciva dalla tabaccheria del nonno, in piazza San Giacomo.

La storia di Kates è una storia semplice, ricca di ricordi attraverso i quali ci conduce nella Udine degli anni Cinquanta. Il medico convertito alla biologia molecolare assapora il suo caffè al Contarena. Affabile nei modi, lo scienziato inizia il suo racconto ricordando la madre friulana Elsa Del Pup, classe 1916, coniugata con Orazio Ippodrino, il capitano dell’aeronautica siciliano scomparso quando Joseph aveva appena nove mesi.

La disgrazia riportò Elsa con il figlioletto a Udine, dove restò per una decina d’anni. Fino a quando conobbe un ufficiale dell’esercito americano, il signor Kates, che la portò in America riconoscendo Joseph come suo figlio. Da allora la famiglia Kates rientrò nel capoluogo friulano solo dal 1953 al 1955.

«A Udine avevamo diversi amici. Uno era il commerciante Dante Cavazzini, l’ultima volta che l’ho vidi aveva 91 anni». Parlando un italiano quasi perfetto, il professore non fatica a trasmettere le emozioni di quel bambino che restava incantato davanti alle pareti affrescate da Afro a casa Cavazzini, trasformata oggi in un museo d’arte moderna.

«Afro era un mentore per me - sottolinea Kates -, con lui io e la mia famiglia abbiamo visitato, per la prima volta, i musei europei. Era il 1956, l’anno in cui Afro vinse il premio per il migliore artista italiano alla Biennale di Venezia. Ci ospitò a Roma e poi venne in America a trovarci».

Fu in quell’occasione che il pittore udinese notò Kates mentre rincorreva il tacchino. «Vidi quel quadro per la prima volta a Roma e quando lessi il titolo dissi “quel bambino sono io». Sorride il professore, sorride e pensa ai due anni trascorsi a Udine da adolescente. Gli impegni che, nel 1953, portarono il padrino per due anni in Corea favorì il ritorno della madre nella città d’origine.

Fu il periodo in cui il giovane Joseph anziché frequentare le scuole, seguiva le lezioni di scienze di don Della Rovere e quelle di letteratura che gli impartiva un’insegnante privata. «Don Riccardo aveva la moto e assieme andavamo in campagna a prelevare i campioni d’acqua nei laghi, per analizzarli poi nel suo studio».

Il professore ripercorre quei momenti e ripensa ai «libri antichissimi» che il parroco custodiva nel suo studio. Tra le quattro mura della canonica, Kates maturò la passione per le scienze. La stessa passione che lo portò a impegnarsi nella lotta contro i tumori al Frederick national laboratory for cancer research.

Lo studioso rivive le emozioni, apprezza i colori e gli odori di un luogo a lui caro. «È una cosa che succede solo quando si torna nei luoghi dell’infanzia», ammette attraversando il centro storico prima di tornare davanti alla casa di via Marinoni. Indica porta Torriani sotto la quale c’era una pescheria, menziona le sculture realizzate dal maestro di Canova nella cappella Manin.

Si rivede bambino e pensa a quando si fermava a osservare la statua di Santa Lucia nella chiesa di San Pietro, in via Valvason. «Sessant’anni dopo gli udinesi si presentano in modo diverso, ma la città è sempre la stessa. Conserva quel suo modo di essere un po’ misteriosa con la gente che chiacchiera in strada.

Rivivo un’atmosfera che mi fa sentire a casa». Lo scienziato cammina con passo deciso: «Guardo cappella Manin e rivedo le rondini in partenza, i bambini impegnati nei loro giochi e le donne con i cesti della verdura in piazza». Pensa a voce alta confessa il suo peccato di gola: la polenta e le insalate con l’ardielut. Kates rivive la Udine di allora e guarda al futuro felice di «dare un contributo scientifico al Friuli».

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