Dagli scarpini dei campioni alle calzature paesane

La lunga carriera dell’artigiano Biagio Goricizzo. A 83 anni ancora dedito al lavoro
Di Giulia Zanello

«Dopo aver lavorato tutto il giorno, prendevo la mia bicicletta e da Pozzuolo raggiungevo la stazione ferroviaria di Udine per spedire le scarpe a Torino, così alle 12 del giorno successivo i giocatori della Juventus potevano già allenarsi con le nuove calzature».

Con la stessa bicicletta andava anche allo stadio Moretti, per consegnare gli scarpini alla squadra delle zebrette udinesi. Biagio Goricizzo, classe 1932, a cavallo tra gli anni Quaranta e Cinquanta, era il garzone del calzolaio di via del Mercato, Marino Tubaro, titolare dell’unico laboratorio in provincia che realizzava scarpe da calcio su misura, ma quelle commesse che arrivavano dai campi da calcio se le ricorda.

«Il fratello di Marino, Ludovico, giocó in serie A per sette stagioni tra Torino, Udine, Legnano, Bologna e nella Lucchese ed era lui che ci procurava i clienti. Tra questi c’erano anche Sergio Manente ma, soprattutto, Giampiero Boniperti», sottolinea Biagio, con altri protagonisti di quei lontani campionati, quando l’Udinese dalla C cominciava la salita verso la massima serie. Cirano Snidero, Augusto Magli, Giovanni Perissinotto, Umberto Pinardi e Silvano Pravisano: sono solo alcuni dei nomi dei giocatori che Biagio rammenta. «Ludovico Tubaro era molto amico di Manente, stella dell’Udinese che approdó alla Juve, con cui gioco 231 partite in serie A», prosegue Biagio, e forse fu proprio Manente a proporre al centravanti della Juve e della Nazionale di farsi fare le scarpe da calcio nel laboratorio di Pozzuolo. Sono passati quasi 70 anni ma i ricordi restano vivi nella memoria di Biagio.

Lui li ripercorre, mentre continua a riparare un paio di calzature, nella sua officina di via XX Settembre. «Dal 1948 a quasi la seconda metà degli anni Cinquanta il lavoro con le scarpe dei calciatori non ci mancava - ribadisce - ne cucivo a mano due paia ogni giorno: in quegli anni non si lavorava solo otto ore». La pelle veniva scelta e acquistata in città, da Modonutti, alla “Casa del cuoio” e si procedeva alla realizzazione della tomaia. Poi, si cucivano le scarpe e alla suola si applicavano i tacchetti, sempre in cuoio. «Li fissavo con i chiodini – spiega il calzolaio – e spesso capitava che quando la suola si consumava, i giocatori se li ritrovavano conficcati nel piede».

Il capitolo dei calciatori si chiuse negli anni Sessanta, quando Biagio preferì dedicarsi ai tanti clienti del suo paese, come continua a fare.

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