Da “Trieste è nostra” a “ridateci Caporetto”: la questione slovena fa ancora discutere

Da un lato il cartello “Trst je naš” “Trieste è nostra” esposto da un gruppo di studenti sloveni sul parabrezza del pullman che li ha condotti a Gorizia, dall’altro il post su Facebook del vicesindaco di Lusevera, Mauro Pinosa: «Mi piacerebbe tanto che Caporetto, Plezzo, l’Istria e la Dalmazia tornassero all’Italia».
Nell’alta Val Torre si riapre la questione slovena con Pinosa che parla di «slovenizzazione della valle» e boccia l’apertura dello sportello linguistico sloveno: «Previsto dalla legge di tutela della minoranza slovena, costa 43 mila euro l’anno. Non capisco a chi serva visto che qui parlano tutti italiano e friulano. La Regione – aggiunge Pinosa – potrebbe trasferire questi soldi al Comune per assumere un tecnico che manca da tempo».
Apriti cielo. Quella che potrebbe essere stata solo una ragazzata, come auspicano in molti tra cui il deputato Roberto Novelli, rischia di far riemergere vecchie ruggini nell’alta valle del Torre. «Se gli Sloveni rivogliono Trieste noi chiediamo che Caporetto, Plezzo, l’Istria e la Dalmazia tornino italiani» tuona Pinosa non senza precisare: «È notorio che non sono contro gli sloveni con i quali auspico maggior collaborazione, bensì contro quelli che si dichiarano minoranza slovena e non lo sono affatto».
Che si tratti di una questione delicata è fuori dubbio anche perché se da un lato la comunità slovena gestisce lo sportello linguistico istituito dalla legge regionale che obbliga a tradurre i documenti in sloveno, dall’altro è altrettanto vero che i comuni, compreso quello di Lusevera, scontano da tempo la carenza di personale. «Sono pronto a lavorare con tutti purché – chiarisce Pinosa – si guardi all’obiettivo comune».
Una cosa è certa: il botta e risposta continua a riecheggerà nell’alta val Torre tant’è che da Trieste prende posizione l’Unione economica culturale slovena. Il segretario Livio Semolic, porta la questione sui binari culturali per evitare che si riaccenda la miccia innescata, nella Giornata del ricordo, dall’allora presidente dell’Europarlamento, Antonio Tajani, esaltando «l’Istria italiana» e la «Dalmazia italiana».
In quell’occasione Tajani venne accusato di revisionismo storico. «Non si può parlare di ritorno dei territori all’Italia, non si può tornare a un passato conflittuale che ha generato una tragedia in questa zona di confine. Riteniamo – insiste Semolic – che questa questione debba essere lasciata al passato proprio perché ha provocato tragedia sia agli italiani che agli sloveni».
Secondo l’Unione economica culturale slovena oggi non ha alcun senso parlare di ritorno al passato proprio perché «l’ingresso in Europa, con la caduta dei confini, è avvenuta in un clima di collaborazione e condivisione e questa è la prospettiva che dobbiamo lasciare ai nostri giovani». Semolic, non a caso, fa notare al vicesindaco di Lusevera «la differenza tra la realtà culturale dell’Istria e della Dalmazia dove c’era una comunità italiana e Caporetto e Plezzo città slovene nella cultura e nella lingua».
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