Cresce l’imprenditoria cinese spariti i tappezzieri “nostrani”

Viaggio tra gli operai di origine orientale che tagliano e cuciono la stoffa

UDINE. Sarà pure l’inevitabile conseguenza della globalizzazione, ma fa un certo effetto vedere sempre più imprenditori con gli occhi a mandorla occupare gli spazi abbandonati dalle nostre imprese manifatturiere, nel Manzanese. I cinesi stanno “colonizzando” quel che resta del distretto della sedia evoluto in cluster del mobile e arredo. Le imprese straniere aumentano in tutta la regione segnando una crescita in controtendenza rispetto al calo generalizzato dell’imprenditoria.

I dati elaborati dal Centro studi della Camera di commercio di Udine parlano chiaro: dal 2011 a oggi il totale delle imprese è passato da 97.927 a 90.288, quelle straniere da 9.656 a 10.670. In Friuli si registra il maggior numero di ditte amministrate da stranieri (4.528) seguito dal pordenonese (2.573), Trieste (2.353) e Gorizia (1.216). In questi contesti gli imprenditori cinesi si collocano al terzo posto dopo gli albanesi. In provincia di Udine la Cciaa ne ha censiti 282, poco meno della metà dei 700 presenti in regione. A Pordenone 134, 98 a Gorizia. Gli imprenditori con gli occhi a mandorla operano soprattutto nel commercio anche se rispetto a cinque anni fa le attività sono scese da 309 a 245 unità. Più che raddoppiate le imprese cinesi nel settore dell’alloggio e della ristorazione: da 78 sono salite a 193. Seguono le 181 attività nei servizi (nel 2011 erano 52) e altre 34 in altri settori. Solo 5 anni fa, in Friuli Venezia Giulia, le imprese cinesi erano 468. Oggi sono così distribuite: Trieste (184), Udine (97), Pordenone (43), Gorizia (39), Monfalcone (33), Manzano (32), San Giovanni al Natisone (31), Pradamano (27), Sacile (16), Lignano Sabbiadoro (14) e Latisana (11).

Ultime ma non per importanza le 222 cariche ricoperte da imprenditori cinesi nelle società di capitali: 30 gli amministratori, 46 i soci. Pur essendo noto, il fenomeno continua a sorprendere e a richiedere riflessioni a vari livelli. Basta fare un giro tra i capannoni di Manzano e San Giovanni al Natisone per accorgersi che la Cina è più vicina di quanto si possa pensare e che i suoi imprenditori trovano terreno fertile negli spazi liberati dai friulani. Lo fanno lavorando più di 40 ore a settimana e sfruttando capacità manuali che tra pochi anni potrebbero portare i tappezzieri di oggi a produrre la sedia intera. Staremo a vedere.

Il viaggio nel Manzanese.

In via Maroncelli a Manzano non troviamo l’azienda che cerchiamo davanti ai capannoni anonimi. Andiamo oltre, salvo capire poi che affiggere targhe e insegne all’esterno non rientra tra le consuetudini cinesi. Al civico 27, ci imbattiamo nella tappezzeria Alfa di Ye Pengxiang ed entriamo. Da dietro i rocchetti dei filati colorati che girano a fianco delle macchine per cucire, alzano lo sguardo tre giovani donne. Sono giovani, ma non capiscono la nostra lingua. Anche il titolare parla un italiano stentato e si fa aiutare dalla figlia. È lei a spiegare che, a un anno dall’apertura, l’azienda occupa una decina di operai. «Il cliente porta qui tutti i materiali e noi li assembliamo», ripete mentre il padre fa notare che agire in conto lavoro è meno rischioso. «Se il cliente non paga – sottolinea – perdiamo solo il tempo che abbiamo impiegato per cucire». Il capannone non è di proprietà. I cinesi non arrivano più con le valigette piene di banconote, anche loro preferiscono affittare i locali e, in molti casi, affidarli a collaboratori italiani. Oltre alle tre donne, tra le pile delle sedute già tagliate in gommapiuma, si aggirano altri operai. È quasi mezzogiorno e tutti si preparano per andare a pranzo nella sala mensa allestita in un fabbricato adiacente al capannone.

Fuori pioviggina e davanti all’infilata dei capannoni non si vede anima viva. Raggiungiamo San Giovanni al Natisone. In via dell’Artigianato il portellone di uno stabilimento aperto ci invita a entrare. Pippo Sottile, un messinese trapiantato in Friuli, segue l’area commerciale della H&S di Hu Sunda. Il capannone è pieno di ritagli di stoffa colorata e di imbottiture di sedute in corso di lavorazione. «I clienti portano il materiale, noi assembliamo i pezzi e garantiamo il lavoro finito rispettando i tempi», spiega accompagnandoci all’interno della fabbrica dove il figlio del titolare taglia la stoffa. «Lavoriamo con aziende del circondario, facciamo un prodotto che va in tutto il mondo». Sottile ci tiene a sottolineare che il personale è in regola e che l’azienda non ha mai sgarrato nel pagamento degli stipendi. «Queste sono poltroncine per navi, queste sedie d’ufficio vanno in Francia». E a chi gli chiede quante ore al giorno lavora, Sottile risponde «otto», precisando però che i titolari lavorano di più anche perché «mangiano qui e quindi lavorano nove, 10 ore al giorno». Sottile aggiunge inoltre che i titolari cinesi sono in Friuli da circa 20 anni. Inizialmente lavoravano per conto di altri poi hanno deciso di investire in proprio. Nel capannone c’è anche un marocchino, è il responsabile di un’azienda commerciale con magazzino a San Giovanni che esporta sedie in tutto il mondo. «Perché i friulani e gli italiani non fanno questo lavoro?». La domanda è inevitabile. «Perché – risponde Sottile – se oggi arriva il cliente e chiede la consegna per domani noi siamo in grado di garantirla, i titolari sono capaci di lavorare giorno e notte».

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