Crac Tonutti, nessun “furto” Scagionati gli ex soci pugliesi

L.d.f.

remanzacco

Il sospetto era che gli ex soci pugliesi Pietro Calò e Vito Luigi Blasi avessero congegniato un piano volto a impadronirsi delle conoscenze produttive della sua azienda, la “Tonutti Wolagri spa” di Remanzacco, per avviare con la loro società, la “BGroup spa” di Imola, una produzione alternativa e concorrente. Non una proficua integrazione tra le rispettive realtà produttive, quindi, come avevano dato a intendere, ma un furto di know how. Una prospettazione dei fatti, quella suggerita nell’esposto presentato da Carletto Tonutti, che, lette anche le trascrizioni delle intercettazioni, pm e gip avevano ritenuto così «verosimile», da disporre il sequestro preventivo del ramo d’azienda sulla produzione e commercializzazione di macchinari agricoli della linea fienagione della Bgroup.

Era l’ottobre 2019 e, da allora, l’impianto accusatorio che aveva portato a ipotizzare nei confronti di Calò e Blasi e, in concorso, dell’udinese Luciano Driussi, all’epoca responsabile acquisti della Tonutti, il reato di bancarotta fraudolenta, realizzato attraverso la distrazione, appunto, di disegni tecnici della fallita, ha cominciato a fare acqua. I nuovi elementi emersi in fase istruttoria impongono «una necessaria rilettura dei fatti, minando la sostenibilità in giudizio delle contestazioni», ha scritto il gip di Udine, Matteo Carlisi, nel decreto con cui ha archiviato il procedimento e ordinato la revoca del sequestro.

Troppi i «ragionevoli dubbi» ravvisati dal tribunale, insomma, per procedere. Perché se è vero che «i fatti accertati dalle intercettazioni sono indicativi di un’intenzione, non si tratta ancora – osserva il giudice – della prova di un fatto illecito». Idem rispetto alle ipotizzate condotte distrattive pre fallimento, che non sono state individuate «con ragionevole certezza». Quanto al periodo successivo al fallimento e, in particolare, all’asserita sottrazione da parte di Driussi, tra il 7 e l’8 febbraio 2015, di un hard disk contenente dati strategici, «non c’è prova che l’indagato operasse su mandato del liquidatore Calò, né emerge un contributo causale dal ruolo di ex amministratori di Calò e Blasi». E allora, in assenza di certezze, come escludere una ricostruzione completamente ribaltata? E cioè che gli ex soci pugliesi, puntassero veramente «in buona fede – così il gip – a un’integrazione societaria». —



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