«Crac Bernardi, Di Tommaso non ha colpa»
L’ex amministratore (Diego, figlio di Riccardo) era stato indagato per bancarotta in relazione al dissesto della Go Kids

Diego Di Tommaso, erede insieme alla sorella Silvia dell’impero Bernardi dopo la morte del padre Riccardo (scomparso il 24 gennaio 2010), con le proprie scelte imprenditoriali non aggravò il dissesto della “Go Kids srl”, società del Gruppo di cui era divenuto l’amministratore, ma si impegnò anzi a salvare quella e le altre aziende di famiglia attraverso una serie di operazioni industriali di ampio respiro. Compreso l’accordo con Coin, culminato nel 2012 nella cessione di 104 punti vendita e nella fornitura di merci al ramo d’azienda dedicato all’abbigliamento per bambini, e di lì a poco irrimediabilmente vanificato dalla cartella esattoriale per quasi 200 milioni di euro notificata per errore alla holding friulana dall’Agenzia delle entrate.
È questa la conclusione cui è approdata la Procura di Udine, al termine delle indagini avviate a carico dell’imprenditore udinese, oggi 37enne, per l’ipotesi di reato di bancarotta semplice, in relazione all’insolvenza dichiarata anche per la Go Kids (sentenza del tribunale di Udine del 19 maggio 2014) - come già per il Bernardi Group - e alla conseguente ammissione alla procedura di amminisitrazione straordinaria.
Se ritardo vi fu nel deposito dell’istanza di fallimento, questo avvenne perchè ben prima del tracollo Di Tommaso ancora sperava di riuscire a raddrizzarne le sorti. «Nel 2012 – scrive il sostituto procuratore Barbara Loffredo nella richiesta di archiviazione –, l’indagato ragionevolmente confidava nella possibilità di salvare l’azienda, in ciò supportato dagli accordi in corso con soggetto imprenditoriale di primaria importanza e sicura affidabilità». Il Gruppo Coin, appunto, come ampiamente dimostrato nella documentazione presentata agli inquirenti dai difensori, gli avvocati Luca Ponti e Francesca Spadetto. Ritenendo in tal modo spiegate le ragioni del ritardo e non ravvisando quindi alcun dolo nelle condotte dell’amministratore, il gip Matteo Carlisi ha accolto la richiesta del pm e archiviato il procedimento.
Un epilogo quantomai kafkiano quello che ha posto fine alle ambizioni imprenditoriali della famiglia Di Tommaso. «È stata l’Agenzia delle entrate – ricorda la memoria difensiva – a provocare il fallimento di Bernardi Group e Go Kids». La cartella di pagamento per la presunta evasione Iva e Ires 2007, maggiorata da interessi e sanzioni al 400 per cento, era stata dichiarata «del tutto illegittima» con sentenza di secondo grado emessa dal tribunale di Napoli il 4 dicembre 2014. La procedura di pignoramento verso il Gruppo Coin e tutto il sistema bancario, però, nel frattempo aveva avuto effetti devastanti: da un lato, la sospensione immediata delle forniture, dall’altro la chiusura dei fidi.
Ad aggravare il pasticcio, rilevano ancora i legali, era stata anche la richiesta di oltre 16 milioni di euro «rispetto ai quali l’Agenzia delle entrate si è anche insinuata al passivo della procedura di amministrazione straordinaria di Bernardi, che per sua stessa ammissione aveva già incassato». E, «ancora più incredibile», prima di procedere alla cessione dei punti vendita, Coin aveva chiesto e ottenuto dalla stessa Agenzia un certificato fiscale datato 26 agosto 2012 sui carichi pendenti di Bernardi. «Ebbene – annotano gli avvocati Ponti e Spadetto –, sopra non vi era traccia della cartella da 200 milioni che ha portato il Gruppo e Go Kids all’amministrazione straordinaria». Da qui, la conclusione della difesa che ha ricondotto l’origine del dissesto «a una causa (la cartella di Equitalia) del tutto estranea all’attività di amministratore di Diego Di Tommaso». Amara la considerazione con cui, nel marzo 2015, lo stesso Di Tommaso commentò l’operato del Fisco. «Forse, se ci fosse stato un minimo di tutela, le cose sarebbero andate diversamente. Invece, il futuro dell’azienda è stato cancellato con oltre 200 posti di lavoro».
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