Cotonificio Amman? «Si crei un museo della classe operaia»

Pordenone, la proposta di un ex dipendente dell’opificio. L’architetto Stefano Tessadori aveva proposto una “dorsale verde”

PORDENONE. Giovanni Rampogna, di Pordenone, è nato nel 1935. Negli anni Cinquanta era «conduttore titolare delle pettinatrici» all’opificio di Torre che, assieme a quelli di Rorai, Fiume Veneto e Pordenone (Amman), costituiva il Cotonificio Veneziano.

Dei tre turni, 6-14, 14-22, 22-6, spesso gli capitava il notturno. Poi gli stabilimenti vennero chiusi. «I lavoratori, dai 10 ai 15 mila, fecero di tutto, per difendere il loro posto. Andarono a Udine, in bicicletta, e non per sport, ma perché non c’erano i soldi per pagare il biglietto del treno. Picchetti a non finire. Sino a quando in tanti, con la valigia di cartone, se ne andarono».

Giovanni Rampogna rappresenta l’esperienza di una generazione di pordenonesi e no, che vorrebbe conservato quel patrimonio sociale, storico e lavorativo: «Ormai la cultura operaia soccombe ai tempi e all’abbadono. Il cotonificio di Rorai è un cumulo di macerie, quello di Torre tiene ancora un po’, abbiamo visto la situazione dell’Amman. Fa piangere il cuore, vedere quelle fotografie».

Giovanni Rampogna è consapevole che l’ex Amman è un sito privato, ma questo non gli proibisce di espriere un auspicio: «Quegli opicifi non rinasceranno più, ma almeno siano ristrutturati, per rispetto dell’allora classe operaia pordenonese: lì hanno lavorato anche i nostri genitori. Ecco, sì: un museo alla memoria industriale».

Era il 1991 quando l’architetto Stefano Tessadori, assieme a due colleghi, vinse un concorso di idee sul Makò di Cordenons. Nel loro studio venne inserito l’ex Amman in un percorso che comprendeva i cotonifici sull’asse Cordenons-Pordenone-Porcia.

Era la famosa “dorsale verde”, che correva lungo l’asta del Noncello. «La nostra idea era di riutilizzarli in modo organico per abitazioni, studi professionali, università, per connettere veri e propri centri urbani al fiume».

Non se ne fece nulla: «Questa roba non entrava nella mente della politica». Infatti, al Makò sono state fatte belle iniziative, «su Torre si è fermato tutto, all’ex Amman siamo al disastro. Eppure potrebbe essere il pezzo forte della città, ha una bellissima facciata su via Udine».

Consapevole che si tratta di una struttura privata, non lesina una proposta: «Potrebbe ospitare, messo ovviamente in sicurezza, workshop industriali con l’università, i giovani, gli insegnanti, gli amministratori. Un laboratorio di idee e proposte».

Perché, aggiunge l’architetto Stefano Tessadori (che recentemente ha partecipato a una conferenza al Politecnico di Milano sul recupero della caserma Trieste di Casarsa), «quel luogo va difeso come tutti i cotonifici. E’ un insieme di architettura e paesaggi, un pezzo unico, un parco di archeologia industriale».

É giusto che il Comune ne torni in possesso? Se no, è giusto convocare la proprietà per fare qualcosa assieme? «Non è così semplice», dice l’assessore all’Urbanistica Martina Toffolo.

«Ci sono norme che non permettono l’acquisto se non per necessità indifferibili. E se anche andasse in porto, i costi per finanziamento e riavvio diventerebbero importanti, a carico della comunità».

Il piano regolatore ha tolto la previsione di una piastra commerciale con conseguente aumento della volumetria.

Sarebbe destinato a luogo di residenze, supermercato al coperto, attività sportive all’aperto, concerti. Ma, sul punto, la proprietà ha depositato una maxiosservazione. E quindi l’ex Amman resta così. Tale e quale a oggi, per il momento.

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