Costretta al sesso dal marito: risarcita con 50 mila euro

Furono i figli minorenni a fermarlo. L’uomo patteggiò un anno e sei mesi. Il giudice civile ora ha riconosciuto il danno morale alla vittima delle violenze 

PORDENONE. Tentò in due occasioni di costringere la moglie, che si stava separando da lui, ad avere un rapporto sessuale. Dopo la sentenza penale, è arrivata anche la condanna al risarcimento dei danni morali alla sua ex compagna (nel frattempo hanno divorziato).

La cifra è esemplare: il giudice Chiara Ilaria Risolo ha condannato l’ex marito, un imprenditore del Pordenonese sulla cinquantina, a versare 50 mila euro di risarcimento alla donna, assistita dagli avvocati Francesco Silvestri e Cristian Molaro.

I due episodi di violenza sessuale imputati all’imprenditore risalgono all’aprile e al giugno del 2010. Con la crisi dell’azienda anche il matrimonio, prima sereno, si era incrinato. La prima volta l’uomo riuscì solo a slacciarle la cintura dei pantaloni, ma lei si divincolò. La seconda volta furono i figli allora minorenni della coppia a liberare dalla sua stretta la madre, immobilizzata contro la parete, in casa.

Per quei due episodi l’imprenditore ha patteggiato un anno e sei mesi di reclusione, pena sospesa. Il tribunale collegiale lo ha assolto, invece, dall’accusa di maltrattamenti in famiglia. La sentenza è stata depositata il 31 gennaio del 2012.

Ora è arrivato un altro conto. Quello della sentenza civile. Il giudice monocratico Chiara Ilaria Risolo ha ritenuto equa la somma richiesta dalla ex moglie sulla scorta di tre elementi: la natura del reato, il fatto che sia stato commesso in un ambiente domestico e alla presenza dei figli e l’intenzionalità con il quale è stata messa in atto la violenza sessuale.

Nella sentenza il giudice Risolo sottolinea come alla ricorrente spetti «il ristoro per il pregiudizio di natura prettamente morale», che va «inteso oggi non più solo come una sofferenza contingente o un turbamento dell’animo» temporaneo, provocati dal reato subito, ma «quale patimento di natura soggettiva legato a una ingiusta lesione di un valore inerente la persona, costituzionalmente garantito, al quale conseguono pregiudizi non suscettibili di diretta valutazione economica».

Un punto messo in luce anche dai legali della vittima: «La violenza degli uomini sulle donne non dà luogo a un generico problema astratto di pubblica rilevanza», bensì viola diritti umani di rilevanza costituzionale, portando con sé cicatrici e ripercussioni negative.

Il patteggiamento, inoltre, non rileva, secondo il giudice, che concorda sulla giurisprudenza di legittimità citata dagli avvocati Silvestri e Molaro nel ricorso: «La sentenza penale di applicazione della pena ex articolo 444 del codice penale, pur non configurando una sentenza di condanna, presuppone comunque una ammissione di colpevolezza, sicché esonera la controparte dall’onere della prova e costituisce un importante elemento di prova per il giudice di merito».

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