Congiunti, prossimità e subito: caro governo, abbiamo un problema di comunicazione

Tre parole che hanno contribuito a render ancor più difficile il lockdown
A handout picture made available by the Chigi Palace (Palazzo Chigi) Press Office shows Italian Prime Minister Giuseppe Conte attending the new rules that will be valid for travel and commercial activities from 04 May, in Rome, Italy, 26 April 2020. ANSA/FILIPPO ATTILI/CHIGI PALACE PRESS OFFICE HANDOUT HANDOUT EDITORIAL USE ONLY/NO SALES
A handout picture made available by the Chigi Palace (Palazzo Chigi) Press Office shows Italian Prime Minister Giuseppe Conte attending the new rules that will be valid for travel and commercial activities from 04 May, in Rome, Italy, 26 April 2020. ANSA/FILIPPO ATTILI/CHIGI PALACE PRESS OFFICE HANDOUT HANDOUT EDITORIAL USE ONLY/NO SALES

UDINE. C’è un problema di comunicazione nel governo. Il gioco più semplice sarebbe quello di dare la colpa a Rocco Casalino, già stella del Grande Fratello, poi capo della comunicazione dei 5 Stelle e ora della Presidenza del consiglio (169 mila euro lordi l’anno).

Ma non credo c’entri il signor Rocco. Tre esempi; tre parole che hanno contribuito a render ancor più difficile il lockdown: prossimità, congiunti e subito. Delle prime due si è discusso e si discute ancora. Un po’ meno dell’ultima: “subito”.

“Subito 400 miliardi alle imprese”. “Subito 600 euro”. “Subito 25 mila euro con una semplice domanda in banca”. In quel subito c’è tutta la distanza tra politica e mondo produttivo (distanza, sia chiaro, che non è solo di questo governo, ma una costante da 30 anni a questa parte).

La sera del 5 aprile il premier Giuseppe Conte spiega il decreto liquidità  e, tra le altre cose, assicura che per ottenere 25 mila euro basterà compilare un modulo: lo Stato garantisce per tutti. Subito.

L’indomani si presentano i primi in banca: “Buongiorno vorrei 25 mila euro”. È ancora troppo presto. Il decreto è pubblicato in Gazzetta due giorni dopo, con una clausola. L’articolo 13 spiega che per procedere con queste operazioni serve l’“autorizzazione della commissione europea”, che arriva cinque giorni dopo la pubblicazione del decreto, ma agli istituti di credito non basta.

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Ora servono le indicazioni dell’Abi, la modulistica e il portale di comunicazione tra banche e fondo centrale di garanzia; il portale su cui caricare le operazioni, attivato nella tarda serata di venerdì 17. Così lunedì 20 qualche banca comincia a muoversi; molte aspettano indicazioni dalla casa madre.

E sì perchè se lo Stato non fa nessuna valutazione di merito creditizio, gli istituti di credito devono “capire” a chi stanno prestando i soldi. È vero che sono garantiti dallo Stato, ma chissà quando Roma li gira. E poi la procedura costa, il tasso è basso (mediamente 1,7) e quindi si tutelano.

Nel frattempo, con la scusa della tutela, alcune banche spingono per chiudere posizioni pregresse, ma non si può fare: la norma parla di nuovi finanziamenti (la cosa è stata stigmatizzata anche dall’Abi).

Ma è anche vero che c’è chi chiede soldi per risolvere situazioni pregresse e questi fondi sono per risolvere crisi causate dal virus. Il meccanismo, così, si inceppa e a rendere ancor più lento l’iter ci si mette lo stesso “virus”: gli istituti bancari lavorano a orari ridotti a causa del corona...

Naturalmente i “due” documenti chiesti dallo Stato (allegato 4bis: autocertificazione – tanto per cambiare – sull’emergenza liquidità)  diventano molti di più in banca: dichiarazione dei redditi, Iva, richiesta di mutuo con dati di sintesi.

Degli artigiani friulani circa il 40% ha fatto domanda, anche chi ha continuato a lavorare. Di questo 40 per cento, più della metà, a un mese da quell’annuncio, sta ancora aspettando una risposta che si spera arrivi... subito.

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