Cividale, s’indaga anche sulla nuova sede

UDINE. Non soltanto le due ville di Lignano Sabbiadoro, l’agriturismo di Cladrecis, la “tangente” di 100 mila euro e l’acquisto di una srl - la “Neb Gestioni” - indebitata fino al collo. Nell’inchiesta che la Procura di Udine ha avviato in primavera a carico dei vertici della Banca di Cividale spa, ora, spuntano anche il mega appalto per i lavori della nuova sede del Gruppo e l’acquisto di una casa a Bibione.
Risultato: 15 capi d’imputazione e 8 indagati, istituto di credito compreso. Gli avvisi di conclusione delle indagini preliminari sono stati notificati in questi giorni dai finanzieri del Nucleo di polizia tributaria di Udine. Le accuse vanno dall’estorsione alla corruzione tra privati e dalla violazione del Testo unico bancario all’induzione a dichiarare il falso agli inquirenti.
Gli indagati
Lungi dal ridimensionarsi, la “bufera” giudiziaria che in aprile era culminata nella misura dei domiciliari per l’ex direttore generale, Luciano Di Bernardo, e in una serie di perquisizioni nelle case e negli uffici degli altri due indagati, l’ex vice direttore Gianni Cibin e il presidente del Gruppo, Lorenzo Pelizzo, si è nel frattempo estesa fino a coinvolgere gli stessi “accusatori”, ossia gli imprenditori Franco Pirelli Marti e Gianni Moro, e Daniele Lago, presidente di Steda spa, la società di Rossano Veneto incaricata dei lavori di realizzazione della nuova sede.
Iscritte sul registro degli indagati, per la responsabilità amministrativa delle società per reati commessi da loro dipendenti, anche la Banca di Cividale spa - presente già nella prima fase delle indagini e la cui posizione era stata successivamente archiviata - e la Banca popolare di Cividale soc coop.
Estorsione o corruzione
Fermo restando il teorema accusatorio relativo allo scambio di utilità tra dirigenti di banca e imprenditori, la Procura ha formulato due possibili scenari: quello che vedrebbe i tre manager costringere, in momenti e occasioni diversi, Pirelli Marti e Moro al versamento di “tangenti” in cambio della concessione dei finanziamenti rispettivamente richiesti (ipotesi dell’estorsione) e quello che, invece, presenterebbe quegli stessi “favori” sotto la luce di reciproci accordi (ipotesi della corruzione tra privati).
Il risultato, in un caso o nell’altro, sarebbe comunque stato quello di un danno alla Banca: 15 milioni 135.795 euro per quel che riguarda gli affidamenti - ora in incaglio - del Gruppo Moro, e 6 milioni 40 mila euro per le sofferenze del Gruppo Fingestim e delle altre società riconducibili a Pirelli Marti e a Fingefa.
L’acquisto di Neb Gestioni
All’“indice” della Procura restano dunque i casi contestati fin dall’inizio. La fetta più grande riguardava i circa 900 mila euro che Di Bernardo sarebbe riuscito a “scucire” a Moro e Pirelli Marti, tra il 2004 e il 2008, attraverso versamenti per il tramite di Fingepart e che gli avevano permesso di pagare il mutuo di due ville a Lignano. A mettere nei guai Pelizzo era stata la vendita di un agriturismo a Pirelli Marti a 280 mila euro, ossia a un costo che gli investigatori avevano ritenuto di almeno 150 mila euro superiore al valore di mercato.
Al presidente era stato inoltre contestato, con Di Bernardo, di avere ricevuto come «utilità» da Pirelli Marti, titolare di Cogefa srl, l’acquisto della Neb Gestioni dalla Sofinar Group srl (facente capo a Mario Raggi) da parte della Fingestim a 332 mila 500 euro, per «evitare di fare emergere l’incaglio del finanziamento erogato negli anni passati con metodologia clientelare (cioè in favore di Jummy Ricci e Raggi) e così occultare una fallimentare operazione di gestione del credito».
L’appalto a Steda
Ed è proprio da qui che muove l’ulteriore nuova accusa di corruzione tra privati ipotizzata a carico degli stessi Pelizzo e Di Bernardo e, come controparte, del presidente di Steda.
Nel mirino, la consegna da parte di Lago a Pirelli Marti «ma nell’interesse e su espressa indicazione di Pelizzo e Di Bernardo», di 150 mila euro (con un falso preliminare di compravendita di un immobile di Lignano) e di ulteriori 20 mila euro (con una falsa fattura di consulenza) e, poi, dell’«utilità» rappresentata dall’acquisto da parte di Steda, nel dicembre 2010, di un cantiere per la costruzione di 9 ville a Corno di Rosazzo dalla Neb.
Tutte operazioni che - stando all’accusa - sarebbero avvenute in un contesto teso a «favorire Steda nell’affidamento dell’appalto per la costruzione della nuova sede del Gruppo». Quattro i “segnali” individuati dal pm: la mancata cessione di uno dei lotti che Steda si era impegnata ad acquistare per 3,8 milioni «senza attivare le clausole di salvaguardia», l’acquisto da Steda per 5,2 milioni di un centro congressi e di un asilo nido, da realizzarsi nell’area, «discostandosi dal progetto originario», e l’assenza di penali a carico della società in caso di inadempimenti.
A Pelizzo e Di Bernardo, inoltre, il pm ha imputato di avere indotto Pirelli Marti a non rispondere o a rendere dichiarazioni mendaci agli inquirenti, «per crearsi l’impunità dai delitti contestati nell’inchiesta».
Gli avvocati
Pressocchè corale la reazione delle difese. «La modalità stessa dell’estensione delle imputazioni - ha detto l’avvocato Maurizio Conti (per Pelizzo) - tradisce perplessità e problematicità».
Sulla stessa lunghezza d’onda il collega Emanuele Fisicaro (per la Banca): «C’è tutto e il contrario di tutto». Nel ribadire come Di Bernardo non abbia mai agito contro gli interessi della banca, l’avvocato Luca Ponti ha ricordato la decisione del tribunale del Riesame di annullare l’ordinanza di custodia cautelare e parlato di uno scenario accusatorio completamente mutato.
«Esclusa l’estorsione “madre” dai giudici del Riesame - ha detto Ponti - il pm non ha potuto che adeguarsi e trasformare quell’accusa in corruzione tra privati, introducendo poi una contestazione alternativa anche per l’episodio relativo alla Neb».
Riproduzione riservata © Messaggero Veneto