Cividale, fallita la Italricambi

Il tribunale di Udine ha deciso: l’azienda, che controlla Weissenfels, aveva perso 1,5 milioni in febbraio
Cividale 5 Settembre 2013. Azienda Italricambi nella Zona Industriale di Cividale. Telefoto Petrussi Foto Press / Diego Petrussi
Cividale 5 Settembre 2013. Azienda Italricambi nella Zona Industriale di Cividale. Telefoto Petrussi Foto Press / Diego Petrussi

CIVIDALE. L’Italricambi spa di Cividale e Flagogna è stata dichiarata fallita. Sono bastate 24 ore al tribunale di Udine per decidere le sorti dell’azienda, che è specializzata nella produzione di ricambistica in acciaio per macchine agricole e che dal luglio del 2013, causa una fortissima crisi di liquidità, era stata costretta a bloccare le attività.

Accogliendo l’istanza di fallimento presentata il 6 maggio scorso dalla Procura di Udine per Italricambi e per Weissenfels Tech-Chain di Fusine, sua controllata e ora in liquidazione - entrambe discusse giovedì -, il collegio presieduto dal giudice Alessandra Bottan ha dunque ritenuto assenti i presupposti per continuare la produzione e decretato così la fine di un’avventura imprenditoriale cominciata nel 1962.

L’udienza per la discussione dei crediti è stata fissata per il 10 ottobre. La partita, comunque, non è ancora chiusa del tutto. Il gruppo Early spa di Milano, che il 18 febbraio scorso era subentrato ai vecchi amministratori di Italricambi sottoscrivendo un contratto d’affitto del ramo d’azienda con opzione d’acquisto (ora automaticamente decaduta) e che a fine aprile era riuscito a fare ripartire i macchinari, recuperando dalla cassa integrazione il 60 per cento dei 75 dipendenti, ha annunciato l’intenzione di impugnare la sentenza.

A minare la stabilità del’azienda, all’inizio dell’anno, era stata anche l’inchiesta della Procura di Udine per un presunto caso di esterovestizione della Tech.Int System sa, società di diritto lussemburghese controllante la Italricambi, con la quale il vecchio management avrebbe nascosto al Fisco italiano oltre 3 milioni di imposte Ires e Irap. Nell’istanza di fallimento, il pm aveva fatto espresso riferimento a quelle indagini - definendo peraltro la società estera lussemburgese fittizia - e sollevato forti dubbi «sull’effettiva volontà della proprietà di sanare la situazione e fare ripartire la produzione. In atti - si legge - sono documentate spoliazioni con contratti verso altre società, ai cui vertici esistono figure di non spiccata affidabilità». Al tribunale, la Procura aveva inoltre prospettato l’esistenza di «una spartizione e sparizione di quanto di buono è rimasto».

Il colpo di grazia era arrivato a metà febbraio. Quando, esattamente il giorno successivo alla discesa in campo di Early, i sindaci del vecchio Consiglio d’amministrazione avevano a propria volta presentato istanza al tribunale delle imprese di Trieste.

Una mossa a sorpresa, imposta dalla notifica, appena quattro giorni prima, della richiesta di restituzione di 1,5 milioni di euro da parte di una banca che aveva lavorato con Weissenfels e alla quale Italricambi aveva dato garanzie fideiussorie. Soldi che gli amministratori avevano prontamente messo a perdita nelle scritture contabili e che avevano visto il capitale sociale precipitare a poche decine di migliaia di euro. Da qui, immediatamente dopo, l’avvio della procedura di liquidazione di Italricambi - con la nomina di Michele De Bellis, della Early, a liquidatore -, il deposito di una richiesta di concordato e l’abbattimento del capitale sociale, con cambio del nome della spa in quello di Trattamenti Cividale in liquidazione srl.

A questo punto, anche il tracollo di Weissenfels - che in udienza ha discusso l’ammissione al concordato preventivo per l’affitto dell’azienda alle Acciaierie Val Canale dell’austriaca Pewag, con patto d’acquisto di 3 milioni - appare sempre più probabile.

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