Civibank, licenziamento illegittimo: quasi mezzo milione a Gianni Cibin

Nel 2013 l’ex vice direttore allontanato per addebiti disciplinari risalenti nel tempo. «Contestazioni tardive»

UDINE. Non si può licenziare una persona, sulla base di contestazioni disciplinari risalenti nel tempo. Tanto meno, quando a finire all’indice sono accuse che lo stesso datore di lavoro aveva già esaminato e riconosciuto come infondate.

Un principio di diritto ferreo, quello della tempestività della contestazione dell’addebito, sul quale la Banca di Cividale finì tuttavia per scivolare proprio in occasione del siluramento di uno dei suoi dirigenti più in vista, nell’aprile del 2013. E che ora si traduce in un esborso che, calcolati anche gli interessi e le spese legali, sfiora il mezzo milione di euro.

Le vicende professionale e processuale di Gianni Cibin, ex vice direttore generale vicario (dal 2003) ed ex condirettore generale (dal 2010) della Civibank, erano state ripercorse dal suo difensore, avvocato Maurizio Paniz, nelle circa due ore di arringa con cui, lunedì, a conclusione dell’istruttoria dibattimentale in corso davanti al tribunale collegiale di Udine, aveva respinto l’ipotesi di infedeltà formulata dalla Procura, per un presunto «scambio di utilità» con una ristretta cerchia di imprenditori.

A essere ricordata era stata anche la non meno decisiva vertenza civilistica che, in primo e, di recente, anche in secondo grado, ha decretato l’illegittimità del licenziamento.

Un provvedimento «privo di giusta causa e di giustificatezza», aveva scritto il giudice del lavoro di Udine, Marina Vitulli, accogliendo buona parte delle richieste risarcitorie avanzate dagli avvocati Maurizio Paniz, Stefania Fullin e Giuseppe Campeis.

E certificando in tal modo la «tardività degli addebiti» che l’allora vertice della Civibank gli aveva contestato. «Non pare conforme a buona fede – si legge in sentenza – la “rivisitazione” da parte della resistente (l’istituto di credito, ndr) dell’operato del ricorrente, risalendo anche a fatti di quasi un decennio anteriori, al dichiarato fine di individuare comportamenti disciplinarmente rilevanti, e ciò seppure a seguito di gravi fatti oggetto di procedimento penale».

Da qui, il diritto di Cibin non soltanto all’indennità sostitutiva del preavviso, quantificata dal giudice in 134 mila euro, ma anche al pagamento dell’indennità supplementare, nella misura di 223.333 euro, per difetto di giustificatezza del recesso.

Una somma che la Corte d’appello di Trieste, davanti alla quale la Civibank aveva impugnato il dispositivo, ha ritenuto di ritoccare al rialzo, riconoscendo a Cibin un’integrazione in termini di mesi di preavviso, per un totale di ulteriori 100 mila euro. «In Appello, la sentenza è stata più favorevole anche sul piano motivazionale – commenta l’avvocato Paniz –, avendo confermato la regolarità di tutte le operazioni contestate, al punto da definire “ineccepibile” quella condotta con il Seminario arcivescovile di Gorizia nel 2006, visto che negli otto mesi intercorsi prima dell’integrale rimborso del fido, la banca lucrò non pochi interessi».

Era stato proprio l’episodio relativo al cambio per cassa di un assegno di 1,4 milioni di euro uno dei presunti “scandali” che avevano sconquassato gli assetti della Civibank, ai tempi della presidenza di Lorenzo Pelizzo (a sua volta a processo, insieme, tra gli altri, all’ex direttore generale Luciano Di Bernardo per l’ipotesi alternativa di estorsione o corruzione tra privati).

Nella prima lettera di contestazione disciplinare inviata a Cibin nel maggio 2013, la banca lo accusò di avere agito di testa propria e senza la dovuta prudenza. «Avrebbe dovuto evidenziare il carattere sospetto della richiesta – gli si obiettò – e assicurarsi che fossero fatte le segnalazioni del caso ai sensi della normativa antiriciclaggio. Viceversa, lei nulla ha fatto e ha anzi indebitamente acconsentito all’operazione, generando uno sconfinamento pari a 1.306.304 euro, che non aveva il potere di autorizzare».

Tutti rilievi apparsi quantomeno pretestuosi dal tribunale, considerato peraltro che della vicenda sia l’ex presidente Pelizzo, sia l’allora responsabile dell’Ufficio legale della banca - per ammissione di quest’ultimo - erano venuti a conoscenza già nel 2010. «Dalle indagini avviate sul caso – aggiunge Paniz – è emerso come la banca segnalò l’operazione. A riprova dell’infondatezza della contestazione».

Amara la conclusione. «Licenziare un dirigente per assecondare un’ipotesi accusatoria – osserva il difensore – induce un moto di tristezza». Nel procedimento penale, Cibin è l’unico degli imputati ad avere rinunciato alla prescrizione. La sentenza è attesa per il 26 febbraio.

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