Potrebbe essere uno degli emblemi, in negativo, della globalizzazione, al pari degli agenti infettivi e dei batteri capaci di scavalcare in tempo reale frontiere e continenti. La cimice marmorata, l’insetto che, da anni devasta coltivazioni e abitazioni di regioni come Veneto, Friuli, Emilia Romagna e Lombardia viene infatti da lontano. Partiamo dalle basi. Il suo nome scientifico è Halyomorpha halys ed è un insetto della famiglia Pentatomidae (ordine rincoti). Originario di Cina, Giappone e Taiwan, ha percorso molta strada prima di proliferare sui nostri campi e mettere in crisi agricoltori e abitanti. Alle soglie del nuovo millennio, nel 1998, i primi esemplari sono stati avvistati negli Stati Uniti dove hanno proliferato in fretta. Nel 2010 la sua diffusione è costata agli States 37 milioni di dollari solo per quanto riguarda il mercato delle mele. Ma stiamo parlando dei primordi di un’invasione che è ormai globale. Nello stesso anno, la famigerata “cimice asiatica” viene classificata come un insetto dannoso per l’agricoltura. In Italia il primo esemplare è stato rinvenuto in provincia di Modena nel 2012, probabilmente nascosto tra gli imballaggi e i bagagli di un traffico merci ormai globalizzato. Nel giro di qualche anno è cominciata la sua diffusione e la sua proliferazione, a partire dalle campagne del Nord Est.
La cimice è infatti particolarmente golosa di frutta e ortaggi, che consuma in grandi quantità durante la primavera, causando così danni estesi a frutticoltura e orticoltura. Tra i prodotti più colpiti ci sono: fagioli, soia, pesche, mele, pere, kiwi, albicocche, uva, mais, ciliegie, lamponi, girasoli e piante da vivaio. E il problema non è solo nel consumo: una volta che l’insetto punge il frutto, la frutta subisce un processo di necrosi dei suoi tessuti, a causa delle reazioni biochimiche indotte dalla sua saliva. Tradotto, anche quando le cimici non portano a termine i loro “pasti”, la frutta ne esce comunque molto rovinata.
“La cimice asiatica si sposta fra più colture a seconda della loro fase di sviluppo, ha una dieta varia e differente che fa sì che la troviamo in molte specie vegetali, per questo è particolarmente dannosa per la nostra agricoltura” sottolinea il dottor Luca Benvenuto, tecnico fitosanitario dell’ERSA, l’Agenzia regionale per lo Sviluppo Rurale del Friuli Venezia Giulia
“Non è raro che gli abitanti trovino grandi addensamenti di queste cimici in pertugi o edifici dove svernare e rimanere lì tutto l’inverno, una dinamica che innesca non poco disagio in molti abitanti della nostra Regione” aggiunge Benvenuto.
E se il loro aspetto non è dei più gradevoli, per gli agricoltori questi insetti sono diventati in breve un vero e proprio incubo. A fare il conto è la Coldiretti che, solo ad agosto 2019, stimava in 250 milioni di euro i costi globali dell’invasione per la nostra agricoltura per l'anno in corso. Nello stesso mese,
nel solo Veneto i danni alle produzioni avevano raggiunto 100 milioni di euro, di cui quasi 80 nella sola provincia di Verona. “Ma le spese sono ancora tutta da quantificare e sono sicuramente superiori” precisa Lorenzo Bazzana, responsabile economico di Coldiretti “sicuramente parliami di milioni di euro, con danni enormi per quel che riguarda i raccolti di più colture e se le aree più colpite sono quelle a cavallo tra Veneto, Friuli ed Emilia Romagna, sappiamo che la cimice si sta diffondendo anche in altre regioni”.In particolare esemplari sono stati già avvistati in Sardegna e in Sicilia, e al Sud l’insetto potrebbe rivelarsi ancora più pericoloso che al Nord. “Se nelle regioni del Nord la cimice si limita a produrre due generazioni l’anno, al sud le cose potrebbero essere diverse, visto che in Asia arrivano fino a sei nel corso dello stesso anno” precisa il responsabile economico di Coldiretti.
Un ulteriore problema che viene a inserirsi per molti agricoltori in un sistema reso complesso dalle nuove dinamiche competitive innescate dalla globalizzazione e dalla presenza di altri parassiti che minacciano le nostre colture.La specie si aggiunge infatti ad altri pericolosi parassiti come il moscerino degli occhi rossi che colpisce ciliegie, mirtilli e uva, al cinipide del castagno, all'Aethina tumida, al coleottero killer delle api. Specie che, sommate insieme, causano danni alla nostra agricoltura per oltre un miliardo di euro e che mettono a rischio interi reparti produttivi, con molti agricoltori che spesso non trovano più conveniente portare avanti le loro aziende.
Nel caso della “cimice asiatica” si cerca ora di correre economicamente a ripari: per supportare i danni subiti dagli agricoltori
sono stati stanziati 80 milioni di euro nella legge di bilancio 2020.
A livello europeo invece ci sono solo contatti con la Commissione per fondi in sostegno degli agricoltori. “Deve essere chiaro che parliamo di una calamità per la nostra agricoltura” precisa Lorenzo Bazzana, “Non c’è nessuna compagnia assicurativa disposta a coprire i danni prodotti dalle cimici per l’alta probabilità di rischio, mentre ci sono paesi come Australia e Nuova Zelanda che non hanno fatto attraccare navi con a bordo questi parassiti, mentre stanno addestrando i cani a riconoscerne l’odore negli aeroporti, tanto per avere la dimensione di quello di cui parliamo”. Una calamità che necessita di un vero e proprio piano di azione, come già avvenuto per la Xylella. “Serve un’assistenza tecnica continuativa agli agricoltori, a livello di fitofarmaci lo studio dei migliori principi attivi in grado di contrastare il parassita, compito non facile visto che parliamo di una specie polifaga (ovvero che consuma una larga quantità di piante, circa 300 per l’esattezza), degli incentivi adeguati per il rilascio di barriere antinsetto, stanziamenti per i mancati redditi o misure come la sospensione dei mutui per gli agricoltori che, per colpa di questo parassita, stanno perdendo economicamente molto. Ma sicuramente il passo fondamentale è l’introduzione di parassitoidi in grado di contrastarli”.
Un’istanza che ci riporta alla domanda principale: perché l’insetto è proliferato nel nostro Paese, cosa succede altrove? In Asia, paese di provenienza di questi insetti, ci sono dei parassiti naturali, capaci di impedirne la proliferazione e mantenerli in uno stato di equilibrio con l'ambiente. Cosa che, fino ad ora, non è avvenuta altrove, Italia compresa. L’assenza di parassiti e predatori ha permesso così alla cimice asiatica di proliferare letteralmente e invadere habitat particolarmente propizi. “Per contrastarla abbiamo messo in campo vari interventi, dallo studio di reti che potessero fungere da barriera a questi insetti, fino all’utilizzo della chimica, ovvero di fitofarmaci con molecole dirette contro varie tipologie di cimici (più o meno sviluppate), anche se sapevamo che non sarebbe stato un intervento risolutivo. L’approccio migliore resta quello integrato e passa anche per lo studio e la messa in campo di parassitoidi in grado di riequilibrare il sistema” ci racconta Luca Benvenuto, dell’ERSA.
E il parassita in grado di arrestare la diffusione delle cimici, già c’è, viene anch’esso dall’oriente ed è stato rilevato per la prima volta proprio in Friuli. “Ogni cimice depone varie uova l’anno e studiandole, nel corso dello scorso anno, abbiamo notato che alcune erano state parassitate dalla vespa
Trissolcus Mitsukurii, una specie parente stretta della
Trissolcus Japonicus, meglio conosciuta come ‘vespa samurai’, scoperta poi anch’essa nel corso del 2018 in altre regioni del nord Italia. È stata la prima volta al mondo, che questo insetto è stato rilevato fuori dall’Asia, un’evidenza resa possibile grazie a uno studio che abbiamo portato avanti con il CREA di Firenze.
Entrambe sono antagoniste naturali delle cimici perché depongono le proprie uova all’interno di quelle di questi insetti, indebolendo così la loro proliferazione.
Le rilevazioni sono proseguite anche quest’anno. Sappiamo che queste specie, arrivate molto probabilmente con le stesse cimici dall’Oriente, hanno passato l’inverno”. Ma per lanciare questi insetti come antidoto alle cimici bisogna comunque pazientare: “Fino alla scorsa estate non c’era possibilità di rilasciare nel nostro Paese specie alloctone, la normativa è stata cambiata, ma sono in corso degli studi sugli effetti. Non sappiamo come questi parassiti possano alterare l’ecosistema al momento, c’è ovviamente molta speranza, ma dobbiamo aspettare ancora. Una volta dato il via libera poi ci sarà la necessità di capire chi si impegnerà a produrle” aggiunge Benvenuto. E nel frattempo, la ricerca è orientata sulle specie autoctone, ovvero originari del nostro Paese “Stiamo terminando le prime valutazioni, attendiamo di verificare i risultati generali”.
Nel frattempo province e regioni, specialmente quelle del Nord Est, continuano a contare i danni.
Già nello scorso settembre i produttori del Medio e Basso Friuli denunciavano stime da incubo:
oltre l'80% di tutta la frutticultura in particolare, e, in generale, delle coltivazioni agricole, non sarebbero commerciabili a causa degli effetti della cimice. In particolare i danni ai frutteti - mele, pere, pesche, ma anche fragole e kiwi - andrebbero dall'80 al 100% del raccolto. Mentre a essere colpiti sono anche il mais, i vigneti, le piante di pioppi e perfino gli asparagi. Una situazione che ha spinto la Coldiretti locali a invocare lo stato di calamità naturale.
Stime drammatiche che abbracciano anche il Veneto. Nella Regione
i meleti sono stati danneggiati per 51,2 milioni di euro, i pereti per 20 milioni e i kiwi per 18,4 milioni. Sommando tutte le perdite agli agricoltori veneti nel 2019 mancheranno quasi
100 milioni di euro, una stima enorme, che ha spinto anche la regione a correre ai ripari e a far salire a 3 milioni di euro il bilancio regionale destinato a coprire i danni di una piaga che sta mettendo in crisi molte aziende agricole.
Analogo discorso per le pere del mantovano, dove gli agricoltori lamentano di aver assistito alla
peggiore stagione da quarant'anni a questa parte, una dinamica in cui, anche la cimice asiatica, svolge purtroppo un ruolo fondamentale.
E le perdite si fanno sentire anche nel
ferrarese dove molte aziende lamentano di
aver perso anche il 100% dei raccolti con il rischio di azzerare il reparto ortofrutticolo della provincia e danni già stimati per milioni di euro. Nel modenese molti agricoltori lamentavano invece, nel 2018, perdite che andavano dal 30% all’80% nell'ortcocoltura
e anche quest’anno la situazione sembra rimanere critica, tanto da invocare l’intervento delle autorità.
Un trend che, rimanendo solo sull’ortofrutta, interessa l’intera regione, dove si è passati dai 30mila ettari votati a frutteto del 2000 ai 19.800 odierni. Sul calo giocano un fattore determinante il crollo dei prezzi, ma anche i danni e le difficoltà introdotti dalla cimice asiatica. Stime che rappresentano un vero e proprio campanello d’allarme per tutto il reparto ortofrutticolo italiano.
E ammesso che si riesca a introdurre un parassita capace di arrestare la crescita delle cimici, i tempi potrebbero comunque essere lunghi: “Si prenda, ad esempio, il cinipide del castagno, un parassita particolarmente dannoso per il castagno e per le specie affini, dopo il rilascio di un parassitoide in grado di contrastarlo abbiamo dovuto aspettare 7-8 anni per la riduzione della popolazione e l’attenuazione degli effetti. È ragionevole per arginare la cimice asiatica (eradicarla è ormai impossibile) potremmo impiegare lo stesso tempo, nel frattempo sarebbe opportuno studiare misure per sostenere gli agricoltori” conclude il responsabile economico di Coldiretti Lorenzo Bazzana.