Cementizillo: «Fanna resterà un polo del cemento»

L'azienda chiude lo stabilmento Este, ma conferma l’impegno in Fvg: qui abbiamo investito 9 milioni nel pieno della crisi

FANNA. L’annuncio della chiusura della casa madre della Zillo a Este ha iniziato a circolare in Friuli nella tarda serata di mercoledì. «Una scelta obbligata dal crollo del mercato», ha dichiarato l’azienda. Da quel momento tra i 70 dipendenti del cementificio di Fanna e sull’intero territorio del Maniaghese è partito un tam tam di preoccupazione, tensione e curiosità.

«Fanna non chiude perché resta strategica», ha rassicurato ieri mattina il direttore delle risorse umane della Cementizillo Edoardo Sirchia, garantendo l’impegno della azienda veneta a rimanere sul territorio. Per il momento però nessuno è in grado di fornire dati sulle ripercussioni che lo smantellamento dell’impianto di Este avrà su Fanna. «Forse qualche dipendente ora operativo in Veneto potrà essere ricollocato in Friuli, ma ci vorranno almeno due mesi prima di saperlo con certezza – ha spiegato Sirchia –. Il tavolo di concertazione con i sindacati è infatti convocato per il 2 febbraio. Se la famiglia Zillo avesse voluto abbandonare il territorio non avrebbe investito 9 milioni di euro tra il 2008 e il 2011, ovvero nel cuore della crisi che ha sconvolto il settore».

Restando su tematiche pordenonesi, il manager ha puntualizzato come quello locale sia «un sito produttivo ritenuto interessante per il mercato». «Nel Triveneto sono rimasti operativi solo tre cementifici tra Este, Pederobba e Fanna – ha continuato Edoardo Sirchia –. Il Friuli è quindi strategico, perché potenzialmente attrae clientela anche dall’est Europa. Nel 2000 è stata potenziata la capacità dell’altoforno e di recente sono state compiute modifiche tecniche che hanno ringiovanito l’attività. I tre stabilimenti del Nordest sono in grado di coprire l’intera domanda di cemento. Capiamo che faccia un certo effetto sapere che è stata sacrificata la casa madre, cioè la fabbrica da cui tutto è partito 130 anni fa».

Dal quartier generale di Este sono stati snocciolati alcuni dati che non fanno ben sperare il futuro del comparto, caduto nel solo 2014 ai volumi del 1956. Nel 2007, l’ultimo anno di boom di vendite, in Italia sono stati prodotti 47 milioni di tonnellate di cemento, un record storico. Nel 2014 si è già scesi a 19 milioni di tonnellate, il 60% in meno a fronte di una capacità produttiva più che raddoppiata rispetto agli anni Cinquanta. A Nordest, da sempre caratterizzato dal “male del mattone”, la crisi ha colpito ancor più duramente e dalla tonnellata di consumo pro capite del 2007 si è arrivati agli attuali 350 chili a testa.

Ma a rendere agitati i sonni di lavoratori, sindacati e amministratori ci sono altre nubi all’orizzonte. La Calcestruzzi Zillo, controllata dalla Cementizillo, è infatti impegnata da aprile in un contenzioso giudiziario con il Tar del Lazio. I giudici sono chiamati a pronunciarsi su una maxi multa da 3,6 milioni di euro comminata dall’Antitrust. Secondo l’Authority tra il 2010 e il 2014 la Zillo e altre sette ditte del settore avrebbero creato un cartello e calmierato i prezzi (tra i quasi 13 milioni di euro di ammenda, Zillo si è visto affibbiare altri 145 mila euro a carico di una partecipata di Trieste). Ad aprile l’impresa non ha nascosto i timori che la sanzione possa influire negativamente sui bilanci e quindi su investimenti e occupazione.

Infine “l’affaire cdr” che da almeno dieci anni tiene banco e che a giorni dovrebbe essere discusso dal Consiglio di Stato. Il Tar del Fvg ha dato ragione all’azienda e ha sdoganato il progetto di sostituire il carbon coke con rifiuti. I Comuni di Maniago e Cavasso Nuovo e i comitati ambientalisti però non ci stanno e si sono appellati a Roma.

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