Cave, disastro ambientale Un esposto alla Procura

CANEVA. Un fronte unico da Caneva a Cordignano. Un fronte in cui l’attività delle cave, mai interrotta, ha creato «un vero e proprio disastro ambientale sotto gli occhi di tutti». Il Comitato per la difesa e lo sviluppo del Comune di Caneva, dei paesi e città della Pedemontana-Foresta del Cansiglio e il Comitato Col de fer non vogliono più limitarsi a guardare dall’A28 quello che considerano uno scempio.
Hanno fotografato, recuperato incartamenti e materiale e puntualmente hanno messo tutto in ordine per dimostrare una tesi: i presunti ripristini di vecchie cave non solo non sono stati completati e nonostante questo sono stati avviati nuovi scavi, ma le bonifiche stesse sono spesso occasione per scavare su vecchi siti. Venti pagine fitte fitte di ricostruzione, a cui i comitati hanno allegato un centinaio di documenti. Materiale che è stato inviato alla procura della Repubblica affinché faccia chiarezza. Affinché dica se i cittadini hanno ragione, se davvero l’estrazione dell’oro bianco ha compromesso indelebilmente il paesaggio della pedemontana sacilese. E se qualcuno debba pagare per questo.
I quesiti. Le domande che i cittadini si pongono partono da un assunto che va però dimostrato: che gli scavi siano avvenuti in difformità rispetto alla norma. «Se questo materiale è stato scavato in difformità ed è stato lavorato e poi venduto, assieme al cosiddetto cappellaccio (materiale di superficie, che dovrebbe essere accantonato per i ripristini e che invece è sempre stato venduto), la quantità reale che ne è risultata è stata comunicata al comune di Caneva e alla Regione Fvg»? È stato pagato quanto stabilito al comune di Caneva, secondo convenzioni a suo tempo stilate e citate nei decreti regionali? Gli enti preposti hanno vigilato e sanzionato?».
Il Col de fer. Sull’area del Col de fer i comitati segnalano che “il sistema di escavazione, oltre a lasciare numerose gallerie che penetrano nell’interno del Col de fer, alterandone l’equilibrio statico, non ha rispettato le prescrizioni delle concessioni della Regione, che vietano di lasciare pareti a picco, con inclinazione fino a 90 gradi. «Alcune sono state ricoperte, ma altre sono ancora visibili e solo in rari casi esse, contrariamente a quanto stabilito dai decreti regionali, raggiungono la pendenza generale di massimo 38 gradi. Un carotaggio potrebbe poi mostrare quanto in profondità siano scesi gli scavi».
Evidenziano poi che «vi sono danni permanenti al sistema idrogeologico e in particolare alla falda che sottende il colle, come si può constatare dai documenti che rivelano il totale inaridimento della fonte che da tempo immemorabile forniva acqua potabile e salubre a tutta la contrada del Col de fer».
Cava Caprioli. Non va meglio la situazione di Cava Caprioli, a due passi da municipio e dal castello di Caneva. «La medesima amministrazione comunale di Caneva, in pubblica assemblea, per bocca del sindaco Gava e dell’assessore Salatin (...) ha ammesso pubblicamente – scrivono i comitati – che per la Cava Caprioli non di ripristino si tratta, ma di una nuova cava».
Le altre. Poi c’è il complesso cave, sempre in direzione est-ovest, individuabile sopra la sorgente del rio Vallegher: Cava Vallegher e Cava Valmadonna (poi Bacino estrattivo Valmadonna Est), Valmadonna pvest, Cava Pedemonte. Anche in quest’area, secondo quanto dettaglia l’esposto «sono visibili dei ripristini di lotti già scavati in precedenza».
Non solo. «Nel 2006 il bacino suddetto doveva essere completamente ripristinato, secondo prescrizioni tassative che ricalcavano il precedente decreto; ivi compresa nuova garanzia finanziaria». Gli scavi «sono poi ripresi e sono tuttora in corso, ma ancora non è dato di sapere con quali motivazioni e sanatorie». Quanto alle cave nella frazione di Stevenà (cava Dal Cin e cava Piaj poi bacino unico Piaj-Dal Cin), «tutto inizia con la delibera del consiglio comunale di Caneva (giugno 1982) con cui si decide di vendere ai cavatori una strada pubblica e di abbattere il costone su cui insisteva (reso pericolante dalla escavazione, collocato com’era tra le due cave, beninteso) e prosegue con i decreti regionali».
Decreti, come quello del il 9 giugno 2001 emesso dalla Regione, con prescrizioni stringenti su controlli e monitoraggi «ma nulla o poco è stato fatto». Le cave influiscono poi sui corsi d’acqua. «Il mutamento in negativo nella falda che alimenta fontane e rii in quel di Stevenà è assodato ed a parere dei Comitati ha dei responsabili precisi: i cavatori che hanno mutato il régime delle acque a seguito dei metodi di escavazione nei bacini delle due cave».
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