Calunniarono tre finanzieri: condannati padre e figlio Tutino

Udine, un anno e dieci mesi all’avvocato e un anno e sei mesi al consulente del lavoro. Le difese: «Si limitarono a segnalare il comportamento anomalo dei militari»
Udine 9 novembre 2016 tribunale Copyright Petrussi Foto Press Massimo TURCO
Udine 9 novembre 2016 tribunale Copyright Petrussi Foto Press Massimo TURCO

UDINE. Avvocato stabilito il padre e consulente del lavoro il figlio. Due «professionisti del diritto», quindi, dai quali, secondo la Procura, «non ci si può attendere una valutazione erronea sulla differenza che esiste tra una verifica fiscale e una perquisizione».

Questione di punti di vista. Perchè sono proprio quelle «conoscenze specifiche», secondo la difesa, ad «averli spinti a segnalare i comportamenti anomali dei tre militari della Guardia di finanza» che, il 9 ottobre 2013, fecero “visita” allo studio legale in cui svolgono la loro attività, in via Vittorio Veneto.

Alla fine, a trarre le conclusioni sulla vicenda, sfociata nel processo per concorso in calunnia a carico di Santo Tutino, 68 anni, di Pozzuolo del Friuli, e del suo primogenito Simone, 40, di Udine, è stato il giudice monocratico Angelica Di Silvestre.

Che, ritenendoli colpevoli e concesse le attenuanti generiche, li ha condannati rispettivamente a 1 anno e 10 mesi di reclusione e a 1 anno e 6 mesi (sospesi con la condizionale).

La sentenza è stata pronunciata ieri, al termine di tre anni d’istruttoria dibattimentale, e ha stabilito anche il risarcimento dei danni a favore dei tre finanzieri, tutti della tenenza di Palmanova, costituitisi parte civile con l’avvocato Enrica Lucchin: 2.500 euro l’uno da parte del padre e 1.500 euro l’uno dal figlio.

Anche il pm Marco Panzeri, titolare dell’inchiesta, aveva chiesto la pena più alta, calcolata in 2 anni e 2 mesi, per Santo, in ragione della continuazione tra i due capi d’imputazione contestati, e indicato in 2 anni quella per Simone, accusato della sola ipotesi di calunnia in concorso.

Assoluzione con la formula più ampia o, in subordine, con il minimo della pena e concessione dei benefici, la richiesta dei difensori, gli avvocati Massimo Cescutti (per il padre) e Francesca Tutino (per il fratello Simone).

Al centro del procedimento, due atti “fotocopia” che il pm non ha esitato a equiparare ad altrettante denunce. Prima, l’istanza di autotutela che entrambi presentarono all’Agenzia delle entrate, il 25 giugno 2014, con richiesta d’inoltro alla Procura di Udine e alla Procura militare di Verona, per segnalare il comportamento tenuto dai militari in occasione di quella che avevano definito «una perquisizione abusiva», durante la quale «avevano illecitamente asportato files memorizzati sui pc installati nello studio, copiandoli su loro chiavette Usb e su computer personali».

Poi, l’esposto che il solo avvocato presentò in Procura il successivo 1° agosto, proponendo i medesimi rilievi.

«Accuse che sapevano essere false», ha affermato il magistrato, ricordando i contenuti del processo verbale di verifica che Simone sottoscrisse, «come professionista, nell’interesse di Santo», a fine ispezione. In quel documento si dava atto che «si stava procedendo a una verifica fiscale», «ci si limitava all’acquisizione di documentazione cartacea» con l’assenso dell’avvocato, ci si premurava di «chiedere quali atti fossero coperti da segreto professionale, per non prenderli» e «si visionavano un pc e alcune mail, senza trasferimento di dati».

Da qui, o meglio, da quella verbalizzazione, la conferma del dolo, cioè di «un’accusa formulata contro i finanzieri sapendoli innocenti» e «con una chiara impronta ritorsiva».

Peccato che gli unici in grado di testimoniare ciò che realmente accadde quel giorno fossero soltanto i tre finanzieri - nei confronti dei quali lo stesso Panzeri aprì un fascicolo, per il quale in breve chiese anche l’archiviazione - e Santo Tutino.

A evidenziarlo è stata l’avvocato Francesca Tutino, che ha anche insistito sull’entrata in scena del fratello soltanto in un secondo momento, quando quella che «era cominciata come una perquisizione, in quanto delegata nell’ambito di un procedimento penale a carico di un professionista che aveva avuto contatti anche con quello studio – aveva osservato a sua volta l’avvocato Cescutti –, aveva poi mutato modalità operative».

Simone, ad ogni buon conto, «fu chiamato nella sua qualità di consulente – ha arringato la sorella – e non ha mai voluto incolpare nessuno, limitandosi a segnalare un controllo a loro avviso anomalo». Per non dire dell’impossibilità di stabilire un interesse nel denunciare falsità.

Tanto meno da parte di «un gentiluomo» come Santo Tutino, ha concluso Cescutti. Scontato, quindi, l’appello. «La sentenza, che mi aspettavo più coraggiosa, sarà impugnata», ha detto.
 

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