Bulfon, l’artigiano del vino che coltiva i vitigni antichi

Ha coinvolto l’intera famiglia nelle attività aziendali di Valeriano 

I vigneti sono sparsi qua e là nell’area collinare di Pinzano e Castelnovo, in un terreno fragile che dà problemi ogni qual volta si manifestino abbondanti piogge. Il rischio di smottamenti è frequente perché la terra non ha trovato ancora i giusti equilibri.

Le memorie registrano però una vocazione antica per la vite, che sta riaffiorando. La curiosità e la passione di Emilio Bulfon hanno riportato negli anni i filari ordinati negli spazi strappati all’invasione del bosco. Non si è trattato di un lavoro qualsiasi, ma di un’operazione “di antiquariato”, perché sono state ripristinate alcune varietà di vecchi vitigni: l’idea è di puntare sull’identità che si stava perdendo.

È stato mescolato sapientemente il passato con il futuro per garantire la biodiversità. Così sui mercati di tutto il mondo sono stati collocati vini “unici”, con gusti e profumi particolari. Questa è la sfida di un piccolo cultore delle varietà contro lo strapotere dell’omologazione commerciale.

Un’azienda tutta sua. Emilio Bulfon è nato praticamente nelle vigne friulane, nella zona di Percotto. È partito dalla gavetta e si è costruito una solida professionalità tra i filari. Fiuto e sentimento storico lo hanno fatto crescere come vignaiolo. Il padre era fattore dei conti Kechler, una famiglia importante nella mappa della nobiltà friulana. Emilio si è ritagliato subito un percorso scolastico proiettato verso l’agricoltura.

Si è conquistato, studiando senza far mancare l’aiuto nei campi, il diploma di agente rurale all’istituto di Pozzuolo, a due passi da Udine. Ha lavorato una vita alle dipendenze di “altri”, anche lui come fattore e amministratore, chiudendo la carriera nell’azienda Vicentini Orgnani, a Valeriano, piccolo paese in comune di Pinzano. Un’oasi di pace, senz’altro luogo dell’anima che alimenta sogni e idee.

Da pensionato, Emilio ha avviato lì l’attività in proprio. Ma già prima aveva cominciato a investire nei terreni attorno, inghiottiti dai rovi e dalle piante infestanti. Oggi c’è l’impronta di un paesaggio pedemontano. In questi posti servono coraggio e tenacia, anche perché il recupero degli spazi si scontra con lo spezzettamento delle proprietà. Con la bonaria diplomazia, sua grande dote, Emilio ha ricucito i piccoli appezzamenti attorno all’ossatura dell’azienda, spingendosi da Pinzano a Castelnovo. «Ho sudato le proverbiali sette camicie – ricorda dosando il giusto entusiasmo – per ricostruire un mosaico di proprietà.

Le ultime trattative sono durate una decina d’anni, un’operazione delicata necessaria ad accorpare tre ettari suddivisi tra ventisette proprietari residenti in giro per il mondo». Alla fine, era pronto per la galoppata nelle vigne di una volta, perché fin dagli Anni 60 studiava le caratteristiche dei vitigni in via di estinzione. È stato tra i pionieri del loro recupero, tanto da ottenere una medaglia d’oro al merito. Ora gli ettari coltivati sono complessivamente una decina.

Le condizioni del terreno, spesso su terrazzamenti, non permettono la meccanizzazione. Si procede con la forza delle mani. Sono ridotti al minimo anche gli interventi chimici: «Garantiamo la sola copertura richiesta dalle necessità, con rame e zolfo». Le piante sono curate a una a una, per questo motivo Bulfon può essere definito l’artigiano del vino.

Un grande impegno corale. L’imprenditore di Pinzano ha voluto coinvolgere l’intera famiglia. La moglie Noemi lo ha sempre sostenuto: «Mi ha dato la carica nei momenti più difficili. Guai se non l’avessi al mio fianco». Durante il racconto si sorridono, scambiandosi alcune tenerissime occhiate di gratitudine. In fin dei conti, anche lei è figlia dei campi. I genitori erano agricoltori a Trivignano Udinese.

Ora, con il marito, tesse relazioni intense con coloro che frequentano l’accogliente spazio di vendita, dove c’è anche un piccolo museo di utensili legati alla viticoltura: «È una gioia intrattenere le persone che amano il vino, d’altronde il passaparola è un’arte del commercio». Il loro è un luogo molto frequentato.

Lì hanno passato intere serate in allegria e in discussioni con personaggi del calibro di Luigi Veronelli e Isi Benini, con gli scrittori Amedeo Giacomini ed Elio Bartolini, con l’artista Nane Zavagno (che è di casa), con vari enologi e studiosi locali. Una sorta di piccolo cenacolo.

Da alcuni anni sono entrati in attività anche i due figli con compiti ben ripartiti. Prima Lorenzo, con un diploma di geometra in tasca, dopo una lunga esperienza in un’azienda dello Spilimberghese, che però operava in tutt’altro settore. Ha mollato tutto per dedicarsi anima e corpo ai vini. «Il lavoro precedente – spiega – mi è servito per capire i meccanismi dell’organizzazione di un’azienda». Accanto al padre ha imparato, tra filari e cantina, il mestiere del vignaiolo: «Tutta poesia rispetto a prima».

Da un po’ di anni ha coinvolto anche la moglie Luisa, la quale si interessa della gestione dell’alloggio agrituristico, che ha integrato l’offerta. Ha fatto il suo ingresso Alberta, dopo gli studi in conservazione dei beni culturali e un’esperienza come catalogatrice a Villa Manin.

Il suo compito è di legare strettamente l’attività ai luoghi della pedemontana. Terra, lavoro e cultura: è questo il valore aggiunto. E lei è sicuramente una promoter. L’obiettivo è di sviluppare relazioni: «Puntiamo sull’aspetto umano di chi ci frequenta».

Tornano a galla nomi dimenticati. Emilio Bulfon ha individuato, selezionato e reimpiantato vitigni autoctoni in via di estinzione, un lavoro che ha permesso il ripristino di varietà che hanno fatto la storia della pedemontana. Nel ricomporre l’elenco, conviene limitarsi a quelli che hanno avuto la resa necessaria a garantire una continuità sicura. Tra i rossi: Piculìt Neri, Forgiarin, Cjanoros, Pecòl Ros, Ros di San Zuàn. Tra i bianchi: Sciaglìn (secco e spumantizzato) e Blanc di San Zuàn.

Le due produzioni speciali riguardano varietà da dessert: l’Ucelùt e il Moscato Rosa. Entrambi i vitigni trovano collocazione negli appezzamenti terrazzati e le uve sono sottoposte ad appassimento appoggiate su graticci di legno per un paio di mesi. Il prodotto, proprio per l’intensità del profumo e il gusto amabile e morbido, è considerato da meditazione.

«È soltanto il caso di aggiungere – avverte Bulfon con una punta di orgoglio – che la nostra sfida di competitività, in mercati affollati, ha puntato sulla qualità di prodotti assolutamente originali, che sono elementi integranti di questo specifico territorio pedemontano». Non vale neanche la pena stuzzicare un personaggio come Bulfon, che ha dedicato la vita a “resuscitare” vitigni scomparsi, tra l’altro seguendo semplicemente le tracce lasciate da documenti di tanti secoli fa, con l’oggetto del desiderio di tanti vignaioli: il boom del Prosecco.

Si ritira timidamente dalla discussione, allarga le braccia e sussurra: «Non lo vogliamo. Sicuramente siamo degli autolesionisti, considerato il successo sui mercati mondiali, ma restiamo coerenti con il nostro stile». Cocciuti, ma puri, attenti alla cultura del bere.

La produzione aziendale si aggira attorno alle 70 mila bottiglie (ogni annata ha però i suoi imprevisti) che sono collocate sul mercato a un prezzo di 6 / 8 euro ciascuna. E in vendita c’è anche un po’ di grappa monovitigno di tre varietà, distillata da una ditta di Majano.

La rete commerciale è collaudata: il 40 per cento delle vendite avviene direttamente in azienda; un altro 40 per cento interessa l’estero, dove il marchio è ben conosciuto negli Stati Uniti, in Canada e in vari Paesi europei (ma di rilievo anche la clientela giapponese); il restante 20 per cento è collocato nei ristoranti e nelle enoteche. In vari campi trovano spazio in modo ordinato anche gli ulivi, la cui coltivazione sta prendendo piede nella pedemontana friulana, da Caneva a Cividale. I Bulfon possono contare su circa 400 piante che garantiscono all’incirca due ettolitri e mezzo di olio.

L’arte sul marchio. I vini così bene strutturati dalla storia esaltano i profumi delle colline e della terra tormentata, i gusti dei frutti di bosco, ma anche i colori degli affreschi che arricchiscono un po’ tutte le chiesette della zona. Sapori e cultura si abbracciano. La sintesi si trova nelle etichette.

L’attrazione fatale dei Bulfon per il territorio è trasmessa attraverso la scelta ragionata e raffinata del logo. Emilio ha scelto di legare l’immagine dell’azienda a una parte dell’affresco che fa bella mostra di sé in una parete dell’Oratorio di Santa Maria dei Battuti, a Valeriano. Si tratta dell’Ultima Cena, un’opera di attribuzione incerta, risalente alla metà del Trecento. È stato Emilio a trovare l’accordo per riprodurre quel particolare dipinto, opportunamente stilizzato.

È un marchio che fa il giro del mondo attaccato sulle bottiglie di vino. Ogni varietà ha una cromaticità diversa che la contraddistingue dalle altre, perché la scelta è quella di tenere rigorosamente separati i singoli vini attraverso specifiche micro-vinificazioni. Il simbolo custodisce l’amore di una famiglia per la propria terra, espresso attraverso la valorizzazione della bellezza e della cultura.

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