Buco al Monte dei pegni: la banca chiede 10 milioni

UDINE. Una decina di milioni di euro; 9.413.372 per essere precisi. A tanto ammonta la richiesta di risarcimento presentata dalla Cassa di Risparmio del Friuli Venezia Giulia in relazione all’ammanco al Monte dei pegni che vede imputata la ex responsabile Michela Ottonello, udinese di 47 anni accusata di appropriazione indebita aggravata e, in concorso con lei, Giovanna Di Rosa, 46 anni di Treviso, cliente storica della Cari Fvg e ritenuta la beneficiaria di gran parte dei prelievi, accanto al suo ex marito Giuseppe Mingolla trevigiano di 54 anni.
Via al processo
Il processo ha preso il via ieri davanti al giudice Angelica Di Silvestre del tribunale di Udine. Nessuno dei tre imputati era presente. Per Michela Ottonello, c’era l’avvocato di fiducia Luca Francescon che ha chiesto di accedere al giudizio con il rito abbreviato. Una richiesta che è stata accettata dalla parte civile e dalla pubblica accusa, rappresentata in aula dal pubblico ministero Barbara Loffredo. La posizione della ex bancaria sarà quindi stralciata dal processo e proseguirà autonomamente davanti al giudice Matteo Fraioli nell’udienza del 15 dicembre. La Di Rosa, difesa dagli avvocati Luigi Francesco Rossi e Federica Tosel, e Giuseppe Mingolla, rappresentato dall’avvocato Ezio Franz, saranno invece giudicati con il rito ordinario. La prossima udienza per loro è stata fissata per il 29 gennaio, quando comincerà la sfilata dei testi.
Gioiellieri e bancari in aula
E proprio sulla definizione della lista dei testi si è incentrata l’udienza di ieri. Il pubblico ministero ha infatti presentato un elenco di 23 persone che dovranno essere sentite in aula. Si tratta principalmente di dipendenti della banca e di gioiellieri, molti dei quali provenienti dal Veneto. A questi si aggiungeranno altri sei testi nominati dalla parte civile. Quest’ultima, rappresentata ieri in aula dall’avvocato Virio Nuzzolese, ha formalizzato la propria costituzione un paio di settimane fa. A rappresentare la Cassa di Risparmio è l’avvocato Giuseppe Campeis che ha promosso l’istanza al fine di ottenere la restituzione del denaro sottratto e il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali.
La bancaria infedele
La vicenda, stando alla documentazione raccolta dagli inquirenti, si sarebbe compiuta nell’arco di un decennio, ovvero dal 2002 al 2012.
A carico della Ottonello l’accusa di essersi appropriata di 6.335.000 euro, effettuando una serie di prelievi periodici di importo variabile fra 5 e 20 mila euro dalla cassa del Monte dei Pegni per poi occultare le uscite con diversi stratagemmi. Fra il 2002 e il 2006 avrebbe fatto ricorso alla sopravvalutazione dei beni ricevuti in pegno da Giovanna di Rosa per l’importo complessivo di 600 mila euro. Nel 2007 avrebbe fatto ricorso a riscatti di polizze di pegno fittizie, stipulate in assenza di beni oggetto di pegno a nome della Di Rosa, dei suoi familiari e di alcuni ignari clienti per complessivi 1.147.735 euro. Infine, dal 2007 al 2012, avrebbe fatto ricorso a una fittizia scrittura contabile che, da un lato incrementava i crediti della banca verso clienti, dall’altro diminuiva il conto cassa del Monte dei pegni. Gli importi erano consistenti: 1.173.580 euro nel 2007, altri 1.699.299 nel 2008, quindi 668.518 nel 2009, 493.405 nel 2010 e ancora 552.415 nell’anno 2011-2012.
I coniugi beneficiari
Stando alle ipotesi accusatorie, una parte di queste appropriazioni, pari a circa 2 milioni e mezzo di euro, sarebbe avvenuta con il concorso e a beneficio di Giovanna Di Rosa e Giuseppe Mingolla e ciò con l’aggravante di aver commesso i fatti con l’abuso di prestazione d’opera e di aver provocato alla banca un danno di rilevante gravità.
Alla Di Rosa e all’ex marito Mingolla sono state contestate le accuse di aver concorso nella commissione del reato per 2,5 milioni di euro. La Di Rosa, secondo la tesi accusatoria, avrebbe stipulato dal 2002 al 2006 anche a nome di suoi familiari polizze di pegno ottenendo dalla Ottonello la sopravvalutazione dei preziosi consegnati, ne avrebbe stipulate altre senza fornire alcun bene. Nel 2007 avrebbe chiesto denaro alla Ottonello lamentando gravi difficoltà economiche e istigando quest’ultima ad appropriarsi indebitamente di quelle somme, Mingolla, dal canto suo, avrebbe ritirato somme per conto della moglie in una trentina di occasioni.
La vicenda venne a galla nell’aprile del 2012 quando tutti e tre finirono nel registro degli indagati.
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