L’istituto di credito danneggiato: «La clientela non sarà coinvolta»

UDINE. «Stando a quanto emerge dalle carte processuali le possibilità di ottenere la restituzione delle somme sottratte alla banca sono poche, visto che non si capisce che fine abbiano fatto questi soldi». L’avvocato Giuseppe Campeis, che rappresenta la Cassa di Risparmio del Friuli Venezia Giulia è scettico sulla possibilità di arrivare al risarcimento di un danno che, tiene a sottolinearlo «è ricaduto interamente sull’Istituto bancario e non ha minimamente coinvolto la clientela».
Previsioni in base alle quali la banca in via cautelativa ha già riportato in bilancio quelle perdite negli esercizi successivi.
E non si tratta solo delle somme che sono sparite. «La quantificazione del danno è stata realizzata in maniera analitica attraverso un audit interno – circostanzia Campeis –: una parte è costituita dal denaro contante che è fuoriuscito dalle casse della banca, importi certi cui si aggiunge un’altra posta risarcitoria data dalla sopravvalutazione dei beni gestiti in pegno che devono ancora essere venduti e che, una volta realizzati, daranno alla banca un importo inferiore e quello concesso nel finanziamento.
In definitiva, la banca si è ritrovata con denaro sottratto e beni che, a dispetto delle perizie, erano di infimo valore. Infine - argomenta il legale – va considerato anche il danno all’immagine della banca per aver subito da parte di un dipendente con il concorso di estranei gli effetti pregiudizievoli di un reato».
Stando al documento presentato dalla parte civile il danno ammonterebbe a 8.913.372 euro per gli importi di denaro sottratto e per il minor valore dei beni in pegno e 500 mila euro per danno alla reputazione e all’immagine. A conti fatti, sono 9.413.372 euro complessivi, la somma chiesta a risarcimento.
Meno loquaci gli avvocati delle difese, a partire da Luca Francescon, difensore della Ottonello, che si limita a dichiarare: «Ho fatto istanza di ammissione al giudizio abbreviato perché credo sia strategicamente la scelta migliore per la mia assistita». Una scelta che le consentirebbe di ottenere lo sconto di un terzo della pena. Ma, al di là di questo, Francescon non dice, rimandandosi a «scelte strategiche di opportunità processuale».
Nè intende commentare l’avvocato Ezio Franz che difende Mingolla e si limita a spiegare di «non aver voluto intraprendere la via del giudizio abbreviato».
A parlare è Luigi Francesco Rossi che con Federica Tosel assiste Di Rosa. «Per noi – sostiene – il rito ordinario è essenziale per acquisire un impianto probatorio sufficiente a escludere responsabilità in capo alla Di Rosa. È necessario sentire i testi in maniera completa, crediamo che ciò che riferiranno, specie i gioiellieri, sarà a discarico della Di Rosa».
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Messaggero Veneto








