Brionvega si rilancia come azienda di culto grazie a David Bowie

TRIESTE. Ci voleva David Bowie per ricreare l’interesse su una piccola-grande realtà italiana e regionale della tecnologia di design, la Brionvega.
È successo nei giorni scorsi, quando la galleria Sotheby’s di Londra ha messo all’asta una parte dell’immenso patrimonio accumulato negli anni dal cantante di “Space Oddity”, scomparso quest’anno.
Ebbene, uno dei più vistosi (e, pare, amati) era proprio il giradischi con orologio e radio incorporate sul quale Bowie amava ascoltare la musica.
L’RR 126, questa la sua sigla, dichiaratamente creato per essere una sorta di “musical pet” , più o meno amico musicale, non aveva all’epoca caratteristiche di hi-fi estremo o di particolare qualità.
Progettato dai fratelli Achille e Pier Giacomo Castiglioni, era costruttivamente geniale, ma acusticamente modesto, con una potenza limitata a una decina di watt per canale circa, un cambiadischi tedesco di marca Dual e un’apprezzata radio Fm.
Ciononostante è stato venduto per l’astronomica cifra di 324mila sterline, che anche con la svalutazione post-Brexit fanno pur sempre circa 320mila euro.
E la cosa ancora più clamorosa è che del lotto in cui rientrava il mobiletto audio facevano parte anche opere di Jean-Michel Basquiat, Frank Auerbach, Marcel Duchamp, Henry Moore, Graham Sutherland e Damien Hirst, per una valore stimato totale che originariamente parlava di 41 milioni di dollari.
Come dire: un pezzo d’arte in mezzo all’arte. Bowie, uno che le mode non le seguiva ma le creava, aveva incominciato ad accumulare opere già in giovane età. Vivendo a stretto contatto con gli artisti berlinesi o di New York aveva vissuto in prima persona i cambiamenti di stile, le ere estetiche, l’inquietudine di una generazione tradotta in opere d’arte.
Alla fine prestava i pezzi della sua collezione ai vari musei ed esposizioni senza problemi, per il puro gusto di farle vedere a più persone possibili, vero mecenate del rock. L’oggetto Brionvega aveva evidentemente sollecitato il suo senso estetico, ma non è stato nè il solo nè l’unico.
A cavallo tra i Swingin’ Sixties e i rivoluzionari Settanta non c’era casa di tendenza che non mettesse là in un angolo, con studiata noncuranza, quei prodotti così futuribili.
Adesso, grazie all’effetto Bowie, alla non gigantesca azienda di Pordenone ha iniziato a suonare il telefono a tutte le ore, a seconda dei fusi orari. I suoi prodotti erano già oggetto di culto fin dagli anni Sessanta, anche se questo non si era mai tradotto in fatturati memorabili.
L’inaspettata pubblicità postuma fatta dall’uomo che cadde sulla terra ne sta facendo adesso un’icona del design postmoderno o del cosiddetto modernariato. Tecnicamente la Brionvega appartiene alla Sim2 di Maurizio Cini, ex presidente degli industriali di Pordenone.
È una bella realtà nazionale, non un “brand” globale. La sua leggendaria Radio Cubo figura nell’esposizione permanente del MoMa di New York, ma non è mai stata un “must” per le masse.
Un prodotto di nicchia, quello sì, dopo il lampo di genio che aveva visto Giuseppe Brion, fondatore assieme a Leone Pajetta, avvalersi per le loro produzioni di designer di fama mondiale, come Hannes Wettstein, Sergio Asti, Mario Bellini, Richard Sapper, Marco Zanuso, gli anzidetti fratelli Castiglioni, Ettore Sottsass e Rodolfo Bonetto.
Adesso si tenta il salto, mettendo sul mercato una versione più accattivante, Radiocubo.it, che costa oltre 500 euro, ha un display Lcd, l’ingresso Usb e la possibilità di scegliere tra 12mila stazioni radio web con connessione Wi-Fi o Ethernet.
Ha tutte le funzionalità delle moderne radio, l’alloggio per Iphone, l’ingresso per subwoofer e per il secondo speaker. Ed era e resta, soprattutto, bellissima, un oggetto che sfida il tempo.
Così come quello che fu un altro prodotto di punta dell’azienda, il televisore portatile Algol, probabilmente uno dei primi esempi di tv da camera a comparire nelle case degli italiani.
E a ravvivarle grazie a una gamma cromatica che permetteva di scegliere i colori del guscio in plastica Abs, che era disponibile in bianco, nero, giallo e arancione.
Piccoli dettagli che, come nel caso dell’RR 126, non sono di sicuro sfuggiti al Duca Bianco.
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