Boom di locali nel salotto della città

In pochi anni, attorno a piazza Matteotti, ne è nata una decina
Piazza Matteotti, meglio conosciuta col vecchio nome di San Giacomo (o Mercato nuovo), è il vero cuore della città. Nei suoi sette/ottocento anni di vita ha mantenuto la caratteristica del mercato (dalla frutta e verdura al pesce, dai fiori all'antiquariato), ma ai tempi nostri ha assunto anche altri ruoli: luogo d'incontro, sede di spettacoli e manifestazioni culturali. Dunque, mercato o salotto? Una risposta viene anche dai suoi esercenti e dai loro avventori che “vivono” la piazza forse più dei non numerosi residenti. La mappa di caffè e osterie intorno a San Giacomo negli anni è molto cambiata (come peraltro quella dei negozi: sono scomparse macellerie, botteghe di alimentari e specialità gastronomiche). Basti pensare che dodici-tredici anni fa nel “quadrato” del campiello c'era soltanto il bar San Giacomo. E oggi i locali pubblici sono una decina. Cominciamo dunque il giro proprio dal “veterano” della piazza. Bar tradizionale, il San Giacomo risale almeno agli anni '30. All'inizio dei '90 è stato rilanciato da Gino Venier, il patron della vicina Maddalena, che ha cominciato a «metter fuori i primi tavolini». Gli è subentrata la figlia Simonetta. E dal 1999 il San Giacomo è gestito da Gianluca Serio e Federico Boscolo. C'è una buona, vecchia clientela, arricchita la sera, soprattutto d'estate, da molti giovani che fanno salotto dai portici davanti al bar fino ai due gradini del piano rialzato della piazza. «Ma l'area centrale - dice Gianluca - secondo me dovrebbe tornare mercato, com'era una volta, con tante bancarelle».


Il tasso di accoglienza della piazza Matteotti, dopo un periodo di degrado e abbandono, ha ripreso a salire nel 1994 quando ha aperto il Bistrot, ritrovo “alla francese” di Diego Volpe Pasini (al quale l'anno dopo si è associato Italo Nicoletti). «La piazza - ricorda Volpe Pasini - era in uno stato di abbandono, invasa dai tossicodipendenti. La sera non si poteva girare tranquilli. Nessuno voleva aprire caffè o negozi. La rinascita è partita da noi, in collaborazione con Gino Venier del bar San Giacomo e con l'edicolante Armando Zamparo. Poi hanno aperto l'Ottelio, il Paskowski, l'Hausbrandt, quindi l'Angelo Nero e altri ancora. La piazza ha ripreso a vivere. E adesso abbiamo anche “ridimensionato” i cinesi». Il Bistrot è sorto al numero 18, dove si trovava il famoso negozio-laboratorio Gattolin (paste alimentari e gastronomia). «È l'unico locale del centro - aggiunge Volpe Pasini - che si articola su tre piani: abbiamo 120 posti all'interno e un centinaio fuori. Si va dagli aperitivi al dopocena. E nelle belle giornate ci si gode la piazza: abbiamo anche il sole in fronte». Nel 1995 è stato aperto l'Ottelio, da una società che ha restaurato l'omonimo, storico palazzo accanto alla chiesa. Dopo un paio di gestioni iniziali, dal 2000 l'Ottelio è condotto dal trio Stefano Bomben, Mattia Brugnerotto e Saveria Stefanutti, che hanno cercato di mantenere l'indirizzo del precedente titolare, Rudy, ora impegnato con un ristorante nel Goriziano. «Caffetteria al mattino (siamo famosi per i cappuccini), quattro piatti veloci a pranzo, un confortevole relax sulle poltroncine accanto al pozzo»: così sintetizza Saveria.


E, a proposito di salotto, aggiunge: «Da quando è chiuso il centro, vale ben poco; col mercato si lavora di più». L'Elite, nato con Gianni Robbio all'insegna del Caffè Paskowski, dopo una breve gestione della Cremcaffè di Trieste, dal 2001 è affidato ad Adriano Pez e Grazia Plozzer. Hanno rinnovato il locale e aperto una sala sottostante con una ventina di posti. Quanto al mercato-salotto, Pez solleva la questione delle bancarelle del pesce ancora “a cielo aperto”, mentre l'apposito mercato coperto è tuttora inutilizzato. «Le abbiamo proprio qui davanti e non le dico gli odori, oltre alle pozze d'acqua dei lavaggi. Sono cinque anni che protestiamo, ma in Comune fanno orecchie da mercante». Sulla piazza si affaccia anche l'Hausbrandt che, come rivendita di caffè, esisteva già nell'800. Fino a sette anni fa lo gestiva Angela Gon, dal 2000 il titolare è Claudio Molinari, che vedrebbe di più la piazza come mercato. «Il mercato porta gente e con la gente la piazza diventa salotto». Un altro Caffè, il Grosmi, marchio d'una ditta di Sacile, è all'angolo di via Canciani. Ha sostituito, nel 2000, un negozio di abbigliamento. Un soffitto di uova pasquali è il biglietto da visita per chi, in questo speciale periodo, cerca dolci, cioccolato e confezioni da regalo. Completa il quadrilatero della piazza l'Angelo nero, aperto tre anni fa (anche qui c'era un negozio di abiti) e condotto da Daniela Toffolo. Clientela mista (specialità aperitivi e long drinks) accolta anche nella bella cantina tipica con arcate.


In via Mercerie (scomparse insegne curiose come Agli stanchi della vita e La tenda rossa) c'è Mary col suo Caffè Greco, che gestisce da dieci anni (altrettanti ne ha trascorsi nella degustazione di via Aquileia, angolo via Zoletti). Al posto del Greco, fino al 1996 c'era l'osteria Al Siciliano, condotta per più di 40 anni da Giovanni e Rina Tobia. Dietro l'Ottelio, nel vicolo che porta alla corte Giacomelli, fa capolino il Caffè gelateria snack bar Portello, aperto nel 1999 da Aurelio Cotrer, quindi gestito da Cristina Tofful e ora (dall'agosto 2006) da Luca Lombardo e Sabrina Giglio. L'insegna al Portello, però, è ben più antica: è stata creata nel 1812 per un'osteria (e Giovanni della Porta scrive che già nel 1485 tale ser Petro de Curbellis ottenne di praticare un piccolo varco, appunto un portello, nella seconda cerchia delle mura cittadine per collegare il suo cortile con il Mercato Nuovo). Ai giorni nostri, nel passaggio tra la Vitrum e la bottega di Mafalda (la “regina dei bottoni”), c'è sempre movimento. «Si lavora bene, soprattutto in certe ore - commenta Lombardo - ma hanno liberalizzato troppo: gli esercizi pubblici crescono come funghi. E altri settori sono sguarniti, per esempio non c'è un negozio di ferramenta...». Già, le assenze pesano in piazza San Giacomo. Nel 1992 ha chiuso il caffè-pasticceria Barbaro, luogo prediletto per i conversari delle signore in giro per spese (fu condotto per molti anni da Mario Zanon, che è stato un maestro per diversi futuri esercenti). Al suo posto, sotto i portici di via Canciani, c'è un negozio di detersivi. Ma in piazza, accanto al San Giacomo, è spuntato il Bar-bar-o, che non può non richiamare l'illustre scomparso.


Dallo scorso settembre lo gestisce Fatmir Kurti, un dinamico albanese di 37 anni che prima, nello stesso posto, aveva una pizzeria (ed è anche titolare della pizzeria-ristorante La Tresemane di Tricesimo). Tra caffetteria ed enoteca, il nuovo locale lavora anche la sera, fino a mezzanotte. Da via Pelliccerie guarda sulla piazza un altro storico locale, la “Maddalena sporca” che, purtroppo, ha ormai i mesi contati: i titolari, i coniugi Alessio Olivo e Vanessa Venier (l'altra figlia di Gino), ne hanno, infatti, annunciato la chiusura a fine anno per consentire la ristrutturazione del palazzo. «È ora che mi metta in pensione», dice la signora Vanessa, che col marito gestisce il locale dall'aprile 1999 (prima lo dirigeva suo padre). È previsto un anno di lavori, tutto il 2008. E poi? Poi si spera in una riapertura (ma è presto per dirlo: il caso del Lepre insegna!). Il locale di via Pelliccerie 4 affonda la sua storia fin nel 1400. Antichissima mescita di vino, nel 1876 era una macelleria, nel 1883 è tornata osteria (Alla Fratellanza). Nel 1937 è diventata Antica Maddalena, nel 1948 Vecchia Maddalena. Nel 1978 ne ha assunto la gestione il veneziano Arturo Bolzon, non dimenticato animatore del Borsa-Contarena, che assieme ai friulani Daniele Cinello e Gianni Beltrame, ne aveva fatto un ristorante di lusso. Infine i Venier hanno ufficializzato l'aggiunta dell'aggettivo “sporcje” col quale la Maddalena era nota a livello popolare («non si sa se per la scarsa pulizia personale di una sua proprietaria - ha scritto Mario Quargnolo - o per una clientela senza ritegno nell'insudiciare il pavimento con la cenere delle sigarette o con i rifiuti dei cibi»).


Davvero cose d'altri tempi! In via Pelliccerie c'è una delle due entrate (la principale è in via del Carbone) del Fornaretto. Purtroppo l'antica, tipica osteria friulana, gestita fino al 1974 da Galliano Fraccaro e quindi da Vittorio Gallai e da Gigi Tavian (e il cui nome si ispirerebbe a un fatto di cronaca accaduto nella Venezia del '700), nell'88 è diventata cinese. Con sincero rammarico degli estimatori, tra i quali il compianto Renzo Valente che in “Udine paese col tram” ne ha tessuto un commosso “necrologio”. Dietro la piazza San Giacomo c'è via Cortazzis (in italiano cortilacci: vi depositavano banchi, ceste, rifiuti delle attività del mercato), caratterizzata dalla presenza di una classica trattoria-osteria, il Pappagallo. La nuova insegna del locale, che prima si chiamava Al Gambero, è stata innalzata, nell'immediato dopoguerra, dai coniugi Vittorino Toniut e Olga Lucca (i genitori, come vedremo più avanti, di Monica del Cappello). Dal 1996 alla guida del locale è Massimiliano Perna, un udinese che, come esercente, ha una buona tradizione familiare da parte materna («fin dai tempi della bisnonna, che aveva un'osterietta nelle Valli del Natisone»). Prima di Perna ha gestito il Pappagallo, per 18 anni, suo cugino Claudio Trinco, poi passato Alle Volte di Mercatovecchio. Nel 2001 è stato rinnovato l'arredamento. «Si va dai pasti veloci di mezzogiorno - spiega il titolare del Pappagallo - alle cene a tema con piatti più ricercati. Tra i clienti abbiamo gente del Comune e giocatori dell'Udinese, alcuni dei quali abitano in questa stessa via». Ed eccoci al Cappello, l'osteria regina di via Sarpi, una strada che oggi conta ben otto locali, praticamente uno dietro l'altro!


Figlia d'arte (ma anche nipote: il primo Cappello lo gestivano i nonni in via Rialto), Monica Toniut ha esordito nel 1982 in via Sarpi 1, per passare nel '94 negli attuali locali al numero 5 («dov'era il Vitello Bianco delle sorelle Facci»). La storia della famiglia era cominciata, come accennato, in via Rialto con Gelindo ed Emma Lucca che nel 1927 rilevarono l'osteria “Alla Calotta di Garibaldi”. Dieci anni dopo, il patriottico copricapo divenne un generico Cappello. La figlia di Gelindo, Olga, ha sposato Vittorino Toniut col quale, come abbiamo visto, lanciò il Pappagallo di via Cortazzis. Monica ha proseguito la tradizione dei genitori dando alla sua osteria-trattoria (caratterizzata da un “tetto” di berretti d'ogni foggia e provenienza, dal motto “tutte donne dietro il banco” e dalla presenza d'una massiccia gatta dodicenne finita persino su una rivista giapponese), un'impronta personale di stile: ne ha fatto un ritrovo à la page, luogo d'incontro dei giovani e non solo degli intenditori del tajut. Adesso, da quasi un anno, il Cappello è anche locanda («abbiamo tre matrimoniali e tre singole»). A proposito del proliferare di locali in centro, Monica è molto chiara: «Il nostro è un mestiere duro - dice -, richiede una continua ricerca per non svilire la tradizione. Esercenti non ci si improvvisa». All'inizio di via Sarpi, dal 2000, è comparsa l'insegna “Tagliato col coltello”. Si riferisce all'affettato, ovviamente, dalla porchetta al San Daniele, ma la titolare, Mariella Vidoni, ha in serbo per pranzi e cene anche la porcina (bollito di maiale) coi crauti, il cotto in crosta e altre prelibatezze. «Cortesia, simpatia e vini del Collio» fanno il resto. Poco più avanti, al posto d'una maglieria, dallo scorso luglio è spuntato il Glass Corner, caffetteria e american bar, che lavora soprattutto con spuntineria e aperitivi serali.


Altri due storici esercizi si fiancheggiano dietro la chiesa di San Pietro Martire: l'Enoteca Giardinetto e Da Teresina. La prima, ex trattoria al Giardino, è gestita da tre anni da Paolo Donadon, col fratello Giovanni e la madre Nicolina. I locali fanno parte del complesso della chiesa («proprio qui c'era l'antica sacrestia», spiega Donadon). Il Giardinetto punta anche sulla ristorazione (il menu cambia ogni settimana) con vini abbinati e «serviti a calice e non a bottiglia». E arriviamo a Teresina, trasferita in via Sarpi nel '96 e condotta da Daniele Albini, che ne è proprietario assieme alla sorella Claudia (quest'ultima gestisce il Chianti accanto all'ex questura). L'osteria degli Albini, al cui interno campeggia un bellissimo lavatoio in pietra, ha preso il posto un tempo occupato da un barbiere. Come molti sanno, Da Teresina era nata in piazzetta Bolzano (vicino al nuovo teatro) e aveva preso il nome dalla titolare Teresa Gremese. Sposata col musicista Vittorio Zanuttini, la signora Teresa ha avuto una figlia, Liliana, che ha continuato l'attività materna prima da sola e poi in società con Rosalia Fadi. Nel 1988 Liliana Zanuttini ha ceduto il 50 per cento a Claudia Albini e due anni dopo l'altro 50 a Daniele. I due fratelli sono in via Sarpi dal '96; l'anno dopo hanno preso anche la gestione della trattoria Al Chianti, della quale si occupa Claudia con la figlia Carla. Entrambi, in ogni caso, sia di qua che di là onorano le tradizioni dell'osteria friulana. Arriviamo così in fondo alla strada, allo sbocco su Mercatovecchio (dove c'era la birreria al Montenegrino, della famiglia Righi). Troviano altri tre locali (il totale della via sale così a otto): la Bottiglieria udinese, il caffè Sarpi e il Madrid. La prima esiste da circa un anno, diretta da Edgardo Atzori, mentre il Sarpi ha più lunga vita, essendo stato aperto nel gennaio 2001. Lo gestiscono i coniugi Meri Margiotta e Rineo Serravalle, veneta lei friulano lui. «La clientela - dice la signora Meri - è varia, si lavora bene con la pausa pranzo. All'inizio però c'era più movimento». Che sia colpa dei troppi locali? «Beh, creano problemi, ma poi restano quelli più solidi». Infine il Madrid. Come dice il nome, è un'osteria spagnola. Esiste da sei anni (ha preso il posto d'un negozio di gastronomia) ed è gestita da Giuseppe Pellizzeri. Vi si possono trovare «tapas, sangrilla, cervesa e, ovviamente, vini spagnoli».

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