Berlusconi? No, Salvini: è lui il Trump che ci meritiamo

Ognuno ha i Trump che si merita. Il nostro non è Silvio Berlusconi, come verrebbe facile pensare, ma Matteo Salvini. Se Trump non riconosce i risultati delle elezioni americane e lancia accuse - ma senza prove - di brogli, il segretario della Lega non riconosce i risultati letali del Covid e alimenta lo scontro, già feroce di suo, fra Stato e Regioni. Naturalmente, Salvini - come tutti - ha il diritto e il dovere di criticare i provvedimenti di un governo che ha buttato via mesi preziosi nella gestione dell'emergenza sanitaria, ma c'è modo e modo di gestire il rapporto con l'esecutivo.
Buttare lì l'idea, nelle dirette video sui social, con qualche "guarda caso", che solo le Regioni di centrodestra sono le più colpite dai provvedimenti restrittivi dei Dpcm di Conte, è pericoloso per la già precaria tenuta sociale del paese. Le manifestazioni di Roma, Torino, Milano, Napoli, Firenze ci restituiscono un'Italia in cui alla povertà delle classi sociali più disagiate si somma anche la spregiudicatezza di estremisti violenti interessati soltanto a spaccare i centri storici. Hanno gioco facile, perché mesi di emergenza sanitaria e relativa emergenza socio-economica hanno prodotto paura, malesseri e impoverimento. Ecco perché anche chi critica Conte e il suo governo si meriterebbe un'opposizione migliore.
Salvini ha peraltro alcuni esempi in casa che potrebbe seguire: sono proprio i suoi governatori che usa come scudi umani contro i Dpcm contiani. La politica è anche fatta di toni e di pause, come un gigantesco teatro in cui sul palco ci sono i leader e tra il pubblico ci sono gli elettori. Luca Zaia e Massimiliano Fedriga non possono certo essere accusati di cedevolezza sui loro valori leghisti non negoziabili, ma hanno uno stile istituzionale diverso. Specie il presidente della Regione Veneto, osserva uno che lo conosce bene come Andrea Altinier, di professione spin doctor, che ha lavorato con Zaia per dieci anni: "Il tratto istituzionale di Luca Zaia - mi ha detto Altinier - non è derivato dal ruolo di presidente della Regione Veneto: è uno stile di comunicazione. E la comunicazione è una scelta. Nel caso di Zaia, è un abito sartoriale disegnato su misura. Questo tratto dominante istituzionale c'è anche nei confronti del partito, con cui non entra mai in conflitto".
Nei mesi precedenti il voto, dice Altinier, "l'unica vera polemica, però mai aggressiva, l'ha fatta sull'autonomia regionale. Ma riguardava un perimetro amministrativo: la richiesta di maggiori poteri per la Regione. Per quanto riguarda il dualismo con Salvini, Zaia sta molto attento agli equilibri della Lega. Dopo la vittoria ha ringraziato subito il suo partito per il lavoro svolto sul territorio. Questo gli permette, a livello strategico, di non creare alibi. La sua è una posizione istituzionale inattaccabile. Salvini, se scorresse le agenzie, non troverebbe mai una dichiarazione di Zaia polemica nei suoi confronti. Il presidente del Veneto è convinto che la polemica allontani la relazione con i cittadini e faccia perdere consenso. La litigiosità non porta mai voti. Lo insegnano gli avversari. Il Pd è stato flagellato da anni di divisioni". Morale, secondo Altinier: "La rissa inquina il profilo istituzionale di un leader".
Salvini invece nella rissa ci ha sguazzato per anni. È stata la sua cifra identitaria. Gli ha consentito di portare la Lega dal 4 per cento a oltre il 30, quindi non va dimenticato. Però da quando c'è stato il colpo di sole del Papeete Beach, ha perso la capacità di dettare l'agenda pubblica. Ma così come non bastava e non basta il duo sicurezza-immigrazione, non basta adesso strumentalizzare il ruolo delle Regioni nell'assenza di idee e strategie. Un altro centrodestra è possibile.
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