Bazzocchi: la radiologia va gestita dai medici

«No alla teleradiologia affidata ai tecnici senza il medico». Dopo il caso scoppiato a Pordenone dove il direttore dell’Azienda sanitaria 6, Paolo Bordon, è stato costretto a ritirare la delibera che dava il via alla teleradiologia gestita dai tecnici, i medici radiologi vogliono fare chiarezza su un tema delicato soprattutto per i pazienti.
Massimo Bazzocchi, direttore dell’istituto di radiologia dell’Azienda ospedaliero-universitaria Santa Maria della Misericordia, nonché presidente regionale della Società italiana di radiologia medica (Sirm) e Chiara Zuiani, presidente del corso di laurea in Tecniche di radiologia e vice presidente nazionale della Sirm, promuovono il teleconsulto, ma ricordano che «l’atto radiologico rimane un atto medico, volto a conseguire una diagnosi utile al paziente». Proprio perché, precisano i professori, «si eseguono con radiazioni ionizzanti, potenzialmente dannose al paziente, le indagini non vanno incentivate, bensì, quando possibile, evitate o sostituite da altre indagini tipo ultrasuoni o risonanza magnetica». Da qui la considerazione: «Solo il medico radiologo, che ha conseguito una laurea in medicina, l’abilitazione all’esercizio della professione medica e la specializzazione in radiologia, alla fine di un percorso di 11 anni, viene attribuito il diritto-dovere di analizzare la correttezza dell’appropriatezza e quindi di “giustificare” l’indagine”. Fatta questa valutazione e ottenuto il consenso del paziente, «l’esecuzione pratica dell’atto radiologico può essere delegata a un tecnico di radiologia, all’infermiere o all’infermiere pediatrico, tutti laureati triennali». Fissati questi paletti, Bazzocchi e Zuaini avvertono: «La teleradiologia offre molte opportunità che dobbiamo senz’altro sfruttare ma deve essere utilizzata con cautela e con saggezza e solo in caso di urgenza indifferibile e, forse non è pleonastico ricordarlo, secondo le norme di legge». E ancora: «Il paziente ha il diritto di rimanere al centro del processo e la sanità non deve mirare alla quantità, ma alla qualità. Questo modo di interpretare la sanità ha consentito all’Italia di avere tra i più alti indici di aspettativa di vita al mondo, superiori a quelli di nazioni dove la medicina è un affare economico».
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