Banche e potere, ecco la lettera di Rumiz: dodici domande alla Regione sulla “bomba” Mediocredito

Il giornalista scrive a Serracchiani: fate capire ai cittadini qual è la vera situazione. «Da stabilire l’entità del passivo, che potrebbe essere vicino al miliardo di euro»

Gentile presidente della Regione Debora Serracchiani qualche giorno fa mi sono trovato a una cena in Veneto e al tavolo vicino al mio c’erano degli industriali, per l’appunto veneti, i quali ridevano del Mediocredito del Friuli Venezia Giulia, il nostro gioiello. Ho allungato l’orecchio e tra un ghigno e l’altro ho carpito un’informazione.

A fronte di un miliardo e mezzo di impieghi, avremmo non cinquecento milioni, come è emerso dalla stampa, ma un miliardo di "incagli", come dire soldi che assai difficilmente tornano indietro. «Una bomba a orologeria», così la definivano i commensali, parlando grossolanamente - e qui mi sono infastidito assai - di Lei come “Frangetta nera”, del direttore Narciso Gaspardo come “Cavallo pazzo” e del presidente Crt Paniccia come del “puparo”, e la loro ilarità trasudava - mi è parso di capire - la soddisfazione di aver messo nel sacco la Regione, intrappolata in Veneto da una «politica di grandezza».

Poiché non era corretto scriverne limitandomi a un discorso orecchiato, ho cercato di capirci prima qualcosa e sono andato a rovistare nella cassaforte. Ebbene, pur non essendo uno specialista di conti aziendali, di impieghi e di crediti, ho trovato una sgradevole conferma della “ciacola” e mi sono fatto pure un’idea abbastanza precisa del perché questa banca “non gira”. Ora, siccome mi secca, come afferma un personaggio di “Jurassic Park”, avere sempre ragione, e siccome effettivamente ho avuto ragione per il crack delle Cooperative Operaie di Trieste, di cui ho denunciato con largo anticipo sui politici la scelleratezza di gestione, davvero non vorrei che la situazione si ripetesse nel momento di porre, come faccio ora, il problema al massimo livello. Dunque sarò felice di essere smentito.

Ricapitolando, non è stato difficile arrivare al miliardo nel conteggio dei crediti di ardua restituzione. Sono 400 di sofferenze, 400 di incagli e ristrutturazioni, 100 tra crediti scaduti e deteriorati più minutaglie varie. Ancora più facile è stato appurare che l’ufficio incaricato di salvare il salvabile è un’impenetrabile Alcatraz dove si sono alternati cinque responsabili in cinque anni, dove - su un totale di novanta dipendenti - sette gestori si fanno carico di quasi la metà degli impieghi.

Quanto al clima, basta annusare l’aria: pesantemente deteriorato dall’assenza di direttive autorevoli, privo di una precisa strategia gestionale, di snellezza negli iter deliberativi e di un adeguato supporto di quello che nel campo è chiamato il “Back Office”. Il tutto in un clima terremotato da una miriade di comunicazioni ansiogene della direzione generale, spesso di utilizzo impossibile, e dalla presenza di costosissime consulenze esterne in teoria inutili perché riguardanti pratiche già espletate all’interno, e il cui unico effetto è stato di approfondire il buco di una quindicina di milioni.

Mio Dio, mi son detto, ma se persino un incompetente come me sente puzza di bruciato, cosa deve avere trovato Bankitalia, che all’istituto ha dedicato lunghe e minuziose ispezioni? Cosa dovrebbero pensare la Corte dei Conti, i soci e i titolari dei depositi? E se tutto questo è vero, come mai a livello regionale i politici e i rappresentanti delle istituzioni si limitano a dire che il caso è “sotto esame” senza avallare l’urgenza di un intervento? Ripeto, non sono in grado di sostituirmi agli esperti del settore e quindi non posso sottoporLe un quadro professionale della situazione. Ma mettere nero su bianco una serie di domande alla presidenza regionale, questo sì che lo posso fare, come giornalista, cittadino e contribuente.

La risposta a tali quesiti non è dovuta a me né al giornale sul quale scrivo, ma agli abitanti del Friuli Venezia Giulia. Perché se il crack delle Coop rischia di costarci un patrimonio, quello del Mediocredito (sei-sette volte più grande) potrebbe letteralmente affondare i nostri conti e in particolare quelli triestini (eppure la Fondazione Crt, principale azionista dopo la Regione, col suo 35 per cento tira di fatto le fila del consiglio). E’ abbastanza chiaro che il buco si è approfondito nella precedente legislatura regionale, ma proprio per questo mi suona strana la sottovalutazione da parte di coloro che erano allora all’opposizione e ora siedono nei banchi della maggioranza. E’ anche a costoro che mi rivolgo, perché non vorrei che guardare nello specchietto retrovisore possa causare qualche mal di pancia anche a loro.

Queste le domande. Dodici in tutto.

E’ vero che le sofferenze dell'Istituto sono di un miliardo?

Come mai si sono erogati sette miliardi di euro di finanziamenti nell’arco degli esercizi 1998 - 2012 mentre i mezzi patrimoniali della Banca erano inchiodati sui 200 milioni?

Quali nuovi strumenti e competenze sono stati mobilitati per alimentare questa crescita abnorme degli impieghi, crescita che nei vari piani industriali si tramuta in erogazioni fino alla cifra record di 610 milioni di euro (ben tre volte mezzi propri) per l’esercizio 2008, lo stesso della grave crisi finanziaria mondiale?

Come si motivano i tre più recenti esercizi in perdita per i complessivi oltre 100 milioni di euro, se è vero che nella relazione del 2009 gli amministratori garantivano “un recupero di margini di redditività” grazie a una più attenta gestione del denaro?

Come mai in questa situazione - a fronte dei tagli agli stipendi del personale - restano indenni sul ponte di comando i “players della grande nomenclatura”, gli stessi “sugheri” inaffondabili di cui leggiamo così spesso i nomi sui giornali, e che sono così frequentemente soggetti a rinnovi “yogurt style”, del tipo “mi manda Pinco”, o “sono il prestanome di Palla”?

Insomma, a chi giova far gestire una situazione così delicata agli stessi che hanno spinto il transatlantico verso l’iceberg?

E’ vero che il direttore generale è stato finora retribuito al pari del Presidente degli Stati Uniti ed è presente in banca con ruoli di vertice da oltre 30 anni?

Perché tanto ritardo nell’annunciata redazione del piano di risanamento dell’Istituto?

Perché, in mancanza di un piano industriale 2014 - 2016 si assumono costose figure professionali ed altre se ne cercano persino attraverso inserzioni mentre queste sono spesso già presenti in azienda, e quale è la formazione effettivamente fatta per costoro?

Come mai si sono fatti entrare nell’organico, in questo momento grave, dipendenti della Hypo Bank, la cui casa madre è universalmente nota per aver spalancato nei suoi conti un buco record di 18 miliardi di euro?

Quali conseguenze per il personale prevede l’ipotesi di “collaborazione” con la Federazione regionale delle Bcc che circola da ultimo?

Perché infine - ma qui siamo ai dettagli - le spese amministrative sono aumentate del 26 per cento in un anno, e non del quattro, come si è dichiarato alla stampa?

Gentile presidente, premesso che, ripeto, mi seccherebbe avere nuovamente ragione, attendo con ansia e curiosità una Sua risposta soddisfacente ed esaustiva. Non vorrei fosse interlocutoria, del tipo “stiamo approfondendo”. Da troppo tempo, in questa politica dedita ai proclami e ai talk show, abbondano i gerundi dilatori. Io preferisco il passato prossimo delle decisioni. Del tipo “abbiamo fatto”, “abbiamo deliberato”. Insomma, qualcosa che faccia capire agli elettori che l’aria è cambiata sul serio.

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