Bancarotta per due società, l’imprenditore Burgi patteggia

Pena di 22 mesi. Nei guai con la moglie dopo il fallimento di Verbena e Geco. La difesa: «Tentò di risolvere le cose con grande sacrificio economico personale»
Carlo Burgi
Carlo Burgi

GEMONA. Con le sue attività imprenditoriali, Carlo Burgi aveva costruito un impero. Neppure il terremoto, che pure lo investì di lutti e macerie, riuscì a fermarlo: la sua famiglia si risollevò, partecipò da protagonista alla ricostruzione e si confermò parte integrante del “modello Friuli”. Poi, quando una quindicina d’anni fa la crisi del settore tessile azzerò la “Gemona Manifatture”, seppe rinascere ancora, scommettendo soldi e speranze sulla grande distribuzione.

Finché la congiuntura economica, con un boato sordo ma definitivo, non ha mandato in frantumi anche quel sogno. La dichiarazione di fallimento scattò nel dicembre del 2018 e ora, dopo due anni di calvario giudiziario, è arrivato anche l’epilogo penale. Perché se la “Verbena srl” e la “Geco srl”, le società che affittavano i locali del centro commerciale “Le Manifatture” di Gemona, finirono ingoiate dai debiti, per la Procura la colpa fu sua.

Accusato di bancarotta fraudolenta e semplice in relazione al dissesto economico di entrambe le aziende, in qualità di allora amministratore unico, Burgi, che ha 79 anni e risiede a Vergiate (Varese), ha patteggiato la pena complessiva di 1 anno e 10 mesi di reclusione (sospesi con la condizionale).

A sua volta imputata delle medesime imputazioni in relazione alla sola Verbena, in quanto componente del consiglio d’amministrazione per l’intero decennio di attività, anche la moglie Cristina Barbina, 59 anni, di Udine, ha scelto la via del patteggiamento, concordando con il procuratore facente funzioni Claudia Danelon, titolare dei due fascicoli (qui riuniti), 1 anno e 4 mesi (sospesi con la condizionale).

Le pene sono state applicate dal gup del tribunale di Udine, Matteo Carlisi, su richiesta dei rispettivi difensori, gli avvocati Maurizio Consoli, di Trieste, e Luca Francescon, di Udine.

Le indagini condotte dalla Guardia di finanza di Gemona, sulla scorta della relazione del curatore, avevano accertato la distrazione di 379.109 euro dalla Verbena, attraverso prelievi ingiustificati di contante dalle casse sociali da parte di entrambi gli imputati, oltre che una situazione di dissesto evidente già nel 2015. Un buco alimentato da perdite continue e tuttavia taciuto dai suoi amministratori.

«Al momento del fallimento – recitava il capo d’imputazione – si registrano insinuazioni al passivo per complessivi 2.121.453 euro e ulteriori richieste da esaminare per 661.050 euro». Quanto alla Geco, la somma distratta o dissipata era stata calcolata in 190.767 euro e lo stato d’insolvenza sarebbe stato evidente già dal 2012. Le insinuazioni al passivo, comprese le richieste in attesa, avevano superato i 3,2 milioni di euro.

Nell’optare per la via del patteggiamento, la difesa di Burgi aveva precisato essere stata una scelta dettata dalla consapevolezza degli ulteriori oneri che lo sviluppo del procedimento avrebbe comportato all’imprenditore, ormai alla soglia degli ottant’anni.

Nella memoria depositata al giudice, l’avvocato Consoli ha quindi tenuto a evidenziare il «notevole sacrificio economico personale» con cui il suo assistito aveva «tentato di risolvere lo sfortunato esito delle sue imprese». Aspetti, questi, che sia il pm sia il gip hanno ritenuto di apprezzare e, quindi, valorizzare con la concessione delle circostanze attenuanti.

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