Baci rubati e love story tra Vip e donne friulane

UDINE. D’accordo a Udine non c’è il Malecon, il lungomare che si affaccia sui Caraibi. Non c’è il caffè Floridita, non c’è la Bodeguita del Medio, ma Ernest in quelle sere era felice lo stesso, come all’Avana, travolto da una leggerezza adolescenziale.
La storia ufficiale racconta che Hemingway, pochi mesi prima di vincere il Nobel per “Il vecchio e il mare” nel 1954, venne in Friuli: una settimana tra Udine, villa Kechler a Percoto e Lignano. Qui diede un’occhiata per mezza mattina e ne nacque un mito, che continua tuttora con tanto di premio letterario e annessi vari.
A Udine niente di che per ricordare la visita, nemmeno una targhetta che non si nega mai a nessuno. Di quella serata restano solo le foto di una tavolata con lo scrittore americano attorniato dalla crema della cultura locale, tra giornalisti, scrittori, architetti, al ristorante Friuli che era in piazza XX settembre.
Poi, assieme al fedele autista friulano Adamo De Simon, raggiunse Percoto e lì trascorse quei giorni campagnoli. Ci sono immagini che lo mostrano nel giardino assieme a contesse e nobili. Lui è un po’ impacciato, un omone timido, e sfoglia una margherita.
Ma vicino spunta una figura anomala nel contesto, una bella ragazza, una delicata levriera. È Adriana Ivancich, la diciannovenne veneziana di cui Ernest, già sui 50, si invaghì dopo averla vista in una giornata di pioggia a Latisana. Questa è appunto la ufficialità, ma in una sera d’estate si possono scoprire casualmente anche curiosi retroscena, come questo...
La dolce vita udinese negli anni Cinquanta ruotava attorno a nomi scolpiti nella memoria di tanti. Osterie entrate a pieno diritto nella Treccani della convivialità cittadina. Uno dei punti cardine era via Manin, dove il palazzo degli omonimi conti ospitava una trattoria che recava scritto nell’insegna il motto “Vins nostrans e cusine casaline simpri pronte” (come ricorda Luciano Provini nel suo libro “Una vita a Udine”).
Era stata ricavata in una cappella e chiamata Aquila nera in omaggio all’Austria asburgica, tornata a comandare dopo il periodo napoleonico e quindi a inizio Ottocento. A un certo punto, e arriviamo a oltre un secolo dopo, la gestione passò a tre dinamiche e formose sorelle per cui il locale divenne popolare con il soprannome “Alle tre culone”.
Era un periodo di risveglio per tutti in Italia, dopo la seconda guerra mondiale, e anche Udine si dava da fare in una allegra mescolanza con i liberatori, gli angloamericani. Per questo motivo l’estate del 1945, settant’anni fa, è ricordata come la più scatenata, esuberante, vivace, disinibita, spericolata, nella storia cittadina.
Si ballava sempre e dovunque e nell’euforia generale non mancavano (nemmeno allora) risse e aggressioni. Tragico il caso di un comico, imitatore di Totò, che sferrò una coltellata fatale a un soldato yankee che gli aveva soffiato la ragazza.
Il fatto non attenuò i ritmi al punto che l’avvocato Agostino Candolini, esponente politico della Dc, volle sospendere le licenze ai dancing perché – disse – «invece di ricostruire la gente pensa solo a ballare», ma il governatore inglese Bright si oppose: «I balli devono essere controllati, non vietati. Sono motivo di aggregazione per allacciare amicizie e amori fra i giovan». Come si vede, tematiche sempre di moda.
Le tre sorelle decisero di passare la mano dell’Aquila Nera e la gestione fu assunta da Giacomo Bazzaro, udinese con esperienza all’estero (soprattutto in Francia), che vi si dedicò assieme al fratello Bruno.
A raccontarci la storia hemingwayana è la figlia di Giacomo, Jill Rose Bazzaro (si chiama così in quanto la mamma era scozzese), che ora vive in una villetta di via Spalato dove di recente è stata apposta una targa per ricordare che lì, tra il 1935 e il 1941, abitò la scrittrice friulana Gina Marpillero.
Jill è un’artista, dipinge, si è esibita come cantante lirica e ha ricordi precisi sulle dolci serate del 1954: «Hemingway veniva da noi, all’Aquila Nera in via Manin perché mio padre conosceva il suo autista. Ernest era un uomo gentile, si metteva in una stanzetta, appartato, cenava, e non era solo...».
C’era appunto De Simon con lui? «Quello parlava con papà. Lo scrittore era assieme a una donna». Giovane, magra, castana? «Sì, era così». Si può immaginare che si trattasse di Adriana Ivancich, finita allora al centro del gossip internazionale.
Era da poco uscito il romanzo di Hemingway “Di là dal fiume e tra gli alberi” in cui raccontava la love story tra un attempato colonnello americano e una ventenne di Venezia. Pagine destinate ad accendere i pettegolezzi, ai quali Adriana rispose con un libro bellissimo, “La torre bianca”, in cui difese il senso del rapporto con Ernest.
Si ama un luogo quando si ama un suo abitante, dice qualcuno. La Ivancich non era di qui, ma sicuramente in quelle sere Hemingway attraversò via Manin, piazza Libertà, Mercatovecchio con il cuore in tumulto di un capriolo eccitato. Lo stesso brivido capitò ad altri grandi personaggi arrivati da queste parti.
Per esempio, Carlo Goldoni, il celebre commediografo, trascorse tre anni a Udine e confessò che furono straordinari. Per gli incontri clandestini affittava la casa di una stiratrice a Chiavris. Nessuna distrazione invece per l’amatore più famoso, Giacomo Casanova, apparso in città quando era sul viale del tramonto.
Eppure è accertato che perse la verginità a 17 anni grazie a due sorelle friulane, le contessine Nanette e Marton Savorgnan, emigrate a Venezia. Altro innamorato di Udine grazie alle donne fu Ardengo Soffici, pittore e scrittore toscano. Giunse come militare durante la Grande Guerra.
Il fronte stava vacillando, tutto franava e lui esultava perché aveva trovato l’affetto di Giuliute, brava ragazza di Chiavris. «Sotto gli ippocastani del cortile ci siamo baciati, non lo aveva mai fatto così» scrisse quattro giorni prima di Caporetto.
Piccole innocenti cartoline del passato per raccontare un fascino discreto, non clamoroso, in una città che grazie alle donne conserva un’estasi segreta, soprattutto in estate. Per i dettagli, alla prossima puntata.
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