«Austria senza nostalgia per il passato asburgico»

Gli operatori dell’informazione d’oltre confine sul “caso Gorizia”: storia, non mito Winkler: bene riscoprire il passato, ma non per costruire nuove frontiere
Di Marco Di Blas
Bumbaca Gorizia 14.08.2014 Corso Italia Fotografia di Pierluigi Bumbaca
Bumbaca Gorizia 14.08.2014 Corso Italia Fotografia di Pierluigi Bumbaca

L’idea di cambiare nome a corso Italia, sostituendolo con quello del baffuto imperatore suscita curiosità oltreconfine, ma anche qualche perplessità. Francesco Giuseppe fa parte della storia dell’Austria, ma non è entrato nel mito, come è accaduto invece dalle nostre parti. Nei confronti della casa d’Absburgo, ritenuta responsabile di aver scatenato la Prima guerra mondiale, vi è stato a lungo un atteggiamento ostile. Al pronipote Otto, figlio dell’ultimo imperatore, fu interdetto a lungo l’ingresso in Austria e quando alfine nel 1966 poté rimettervi piede fu accolto dalle proteste di 250.000 manifestanti.

«Noi non abbiamo questa nostalgia per il passato absburgico - osserva Iris Hofmeister, giornalista dell’Orf carinziana e conduttrice di un programma televisivo dedicato alle regioni di confine, la nostra e la Slovenia -. Lo si studia a scuola, ma senza “glorificarlo”. La proposta di dedicare una via di Gorizia a Francesco Giuseppe, tuttavia, mi sembra simpatica, un segno del legame della città con le sue radici».

Gisela Hopfmüller, che ha lavorato a lungo all’Orf di Vienna, ha preso casa a Varmo, dove trascorre metà dell’anno, e conosce quindi bene la nostra regione: «L’idea di dedicare al nostro imperatore il corso principale di Gorizia corrisponde all’atteggiamento di rimpianto nei confronti dell’Austria che ho riscontrato in molte persone di questa regione. Ma perché scegliere un nome che induce a guardare al passato? Perché non invece un nome che guardi al futuro? In Friuli Venezia Giulia ci sono molti nomi illustri nel campo della scienza e della cultura».

Un altro osservatore attento della nostra realtà è Stefan Winkler, responsabile della redazione esteri della “Kleine Zeitung” di Graz e prima, per alcuni anni, corrispondente da Bruxelles. Nel centenario dello scoppio della Prima guerra mondiale, ha fatto un lungo viaggio nelle zone del fronte che allora erano ancora parte dell’impero, intervistando, Fra gli altri, Boris Pahor, Paolo Rumiz, Marina Rossi, Aurelio Slataper (il nipote di Scipio). Winkler si rifiuta di dare un giudizio sulla proposta di cambiare nome al viale principale della città: «Non posso dare consigli ai goriziani: sono loro che devono decidere». Ma aggiunge: «La nostalgia per Francesco Giuseppe nasce in un momento di crisi economica e politica. Un momento delicato. Riguarda una fase storica (quella della presenza austriaca a Gorizia) che per decenni è stata rimossa, in una zona che di per sé era un crocevia di tre culture. Quante migliaia di soldati di lingua italiana sono stati chiamati qui a combattere non con l’Italia, ma contro l’Italia? Quanti sono stati mandati in Galizia? E quanti goriziani e friulani sono stati maltrattati prima dall’Austria (che in tempo di guerra li ha mandati al confino) e dopo la guerra sono stati maltrattati anche dall’Italia, essendo considerati austriacanti? Una tragedia». Ma la tragedia più grave - secondo Winkler - è che dopo la guerra è venuto il fascismo, che ha negato la multiculturalità che caratterizza questa regione. «Non a caso - osserva - qui sono stati costruiti i più grandi monumenti a celebrazione della guerra, da Redipuglia a Oslavia, a Caporetto». Winkler afferma che la guerra per la gente di questa regione è continuata anche dopo il 1918, con la brutale repressione inflitta dal fascismo alla minoranza slovena e ai non fascisti. «Logico quindi - secondo il giornalista austriaco - che qui nasca un sentimento di nostalgia. Però è nostalgia, non ha niente a che fare con la verità storica. Non è storia, ma mito».

Il passato storico austriaco è ben presente a Gorizia, anche senza cambiare nome alle strade. «La chiesa dei Gesuiti - porta ad esempio Winkler - ha un’architettura non diversa da quella di molte chiese dell’Austria. Potrebbe stare benissimo anche nella mia Graz. Perché l’Austria è parte della storia della città. Ma non si può far rinascere il passato. Se oggi si incomincia a riscoprire questo passato, che per anni è stato rimosso, è un bene. Purché non serva a costruire nuove frontiere nella testa e a farne un abuso politico. Dovrebbe servire invece a riconoscere il carattere multietnico della città, a farne più ricca la sua storia, a restituirle l’identità di città complessa e quindi moderna. Ma di una città che appartiene all’Italia».

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