Archeologo per passione, non ricettatore

Assolto un numismatico che aveva raccolto fibule, anfore etrusche e urne cinerarie sequestrate dai carabinieri nel 2009

di Alessandra Ceschia

A metterlo nei guai era stata la sua passione per l’archeologia. Coltivata nel corso di una vita, selezionando fibule, anfore etrusche e urne cinerarie. Reperti antichi, alcuni dei quali risalenti a 2 mila anni fa, selezionati con cura, acquistati dai collezionisti attraverso i mercatini dell’antiquariato non solo in Italia ma anche all’estero nel corso di viaggi che lo avevano portato in Inghilterra e in Germania, o attraverso le aste, con la pazienza certosina che solo un appassionato d’arte può possedere. Finchè, nel luglio 2009, una perquisizione dei carabinieri del Nucleo patrimonio artistico disposta dal Ministero dei beni culturali ha portato al sequestro di quei beni, formalizzando nei confronti dell’82enne udinese Walter Muschietti, collezionista ed esperto di antichità con un cinquantennio di esperienza nel mercato numismatico, le accuse di ricettazione e di impossessamento illecito di beni culturali appartenenti allo Stato ai sensi del decreto legislativo 42 del 2004.

Ieri, il giudice monocratico del tribunale di Udine Mauro Qualizza ha pronunciato una sentenza di assoluzione nei confronti di Muschietti “perchè il fatto non sussiste” e la restituzione del materiale sequestrato, recependo le istanze della difesa rappresentate dall’avvocato Francesco Paolo Mansi. La pubblica accusa rappresentata dal sostituto procuratore Lucia Terzariol si era pronunciata per l’assoluzione con la stessa formula dal secondo capo d’imputazione e per la prescrizione in ordine all’accusa di ricettazione. Muschietti ha voluto rendere dichiarazione spontanea al giudice per spiegare come fosse entrato legittimamente in possesso di un paio di anfore in terracotta etrusche, prima esposte nel suo negozio, quindi in una vetrinetta nella propria abitazione.

Commentando la sentenza di assoluzione del proprio assistito l’avvocato Mansi ha spiegato: «Il materiale individuato nel corso della perquisizione è stato erroneamente stimato come bene di interesse archeologico, per il quale sarebbe stata necessaria la segnalazione alla Soprintendenza, come previsto dal Codice per i beni culturali. In realtà non tutti i reperti possiedono uno straordinario valore archeologico, solo per il fatto di essere antichi. Il materiale in possesso del mio assistito, peraltro, era stato accumulato attraverso acquisti presso aste e mercatini dei quali Muschietti aveva conservato fatture e ricevute. Mi riservo di leggere le motivazioni della sentenza – ha concluso Mansi –, si tratta comunque di un pronunciamento che induce un cauto ottimismo nei confronti di un ulteriore procedimento, del tutto simile a questo, che si riferisce agli oggetti antichi rinvenuti all’interno dell’attività commerciale del mio assistito nel corso di un’altra perquisizione. Procedimento che approderà in aula a gennaio. Voglio aggiungere che periodicamente il mio assistito ha effettuato donazioni di beni antichi alle istituzioni museali».

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